Nuove frontiere giuridiche: à la recherche du temps perdu?
Ritornano i Seminari Mutinensi - sotto l’insegna “Istituzioni e dinamiche del diritto” - che da oltre un lustro hanno via via acquisito una stabile periodicità con nove Convegni nazionali i quali, grazie anche all’intervento dei più autorevoli pubblicisti italiani, sono riusciti a coprire le tematiche disciplinari più svariate: dal multiculturalismo alla riforma del Titolo V, dagli “ordini” giuridici del mercato alla tutela “multilivello” dei diritti economici, per approdare infine ad un’articolata riflessione sulla complessità (“mobile”) degli odierni rapporti fra le tre funzioni “classiche” dello Stato.
Ritornano non a caso - come dire: nomen, omen - proprio a partire da un dialogo con (e su) alcune delle Istituzioni più “dinamiche” del diritto, dall’Autorità Garante per la protezione dei dati personali alla Società Italiana Autori ed Editori passando per la Corte costituzionale, la cui particolarissima posizione all’interno dell’ordinamento strutturalmente garantisce un link privilegiato con la realtà sociale, e a maggior ragione sembrerebbe suggerirlo oggi, là dove la società si ritrova proiettata - per dirla con Umberto Galimberti - in una “età della tecnica” per molti aspetti di ardua decifrabilità.
Una situazione a tratti confusa e perennemente instabile, pertanto, contraddistinta da non pochi elementi d’insoddisfazione e disagio, che certamente parrebbero aver contribuito all’instaurarsi di quel clima da “emergenza permanente” in cui – com’era inevitabile – torna a risuonare con insistenza anche la sirena delle Riforme: da quella fiscale a quella universitaria, da quella del CSM e più in generale della giustizia a quella costituzionale e così avanti, alle quali per vocazione già guardano “golosamente” i Seminari Mutinensi di domani.
In queste pagine s’intrecciano così percorsi d’approfondimento su problematiche apparentemente separate e per certi versi anche distanti - Tutele della riservatezza e dati personali nella società contemporanea, Cinquant’anni di prassi della Corte costituzionale ed Evoluzioni delle tutele del diritto d’autore - ma in realtà legate da un comune filo conduttore: quello dell’inesausta tensione del sistema giuridico verso assetti e conformazioni complessivamente in grado di adempiere alla sua generale funzione di “forza ordinante”.
Ruolo, questo, che talora parrebbe far passare in secondo piano l’aspetto formale dei documenti normativi scritti, per mettere invece in rilievo la dimensione più sostanziale e “plastica” dell’esperienza giuridica, imponendo a chi si prefigga di studiare in termini di completezza la relativa fenomenologia di munirsi d’una strumentazione (e del connesso apparato concettuale) ulteriore e in un certo senso più aggiornata rispetto a quella tradizionale del giurista.
Il tema, a ben vedere, non è nuovo, bensì antico quanto il diritto stesso, e concerne la capacità (e la duttilità) di quest’ultimo di reagire efficacemente - con una risposta in termini di adeguata disciplina - agli “stimoli” che senza sosta gli provengono dai vari settori della società.
Discorso vecchio, si diceva, ma che solleva oggi problemi inediti in rapporto a metamorfosi sociali via via sempre più repentine e imprevedibili, e nondimeno radicali in quanto connesse a innovazioni tecnologiche dalla portata epocale - e con difficili raffronti nel passato, almeno dalla rivoluzione industriale in avanti - anche e soprattutto per l’idoneità ad incidere sulla sfera più intima della persona, concorrendo a causare, per certi aspetti, veri e proprî muamenti antropologici.
A fronte di tutto ciò, parrebbero scricchiolare molti dei capisaldi su cui fino ad oggi sembravano strutturalmente reggersi gli ordinamenti giuridici quali (fonte di) disciplina tendenzialmente stabile della condotta umana, limitata dai confini di una territorialità statale gelosamente custodita, e riferita per lo più alla regolazione di rapporti aventi per oggetto beni tangibili.
Dietro alle forme e ai colori abbaglianti di una contemporaneità in costante subbuglio - della quale diviene sempre più difficile cogliere la cifra essenziale in mezzo ad un mare d’informazioni apparentemente indistinte e monodimensionali - viene così inesorabilmente rimesso in discussione lo stesso rapporto che il diritto aveva instaurato con la dimensione del tempo, dello spazio e della materialità.
La fissazione di credibili punti d’equilibrio fra contrapposte esigenze, un tempo coronamento durevole di rassicuranti procedure pubbliche dalla piena democraticità (precedute da adeguati periodi di ponderazione), oggi parrebbe piuttosto destinata a somigliare ad una diretta televisiva “minuto per minuto”, costretta a rincorrere “rivoluzioni quotidiane” faticosamente gestibili col “passo” tipico degli organi rappresentativi, inducendo così - a torto o a ragione, ma certo non senza motivo - a guardare altrove: ai giudici, alle Autorità indipendenti, alla Corte costituzionale, e così avanti.
Contemporaneamente, la transnazionalità - la “globalità”, come si usa dire - dei fenomeni oggetto di regolazione giuridica rende vieppiù difficoltoso agire direttamente, tramite un autentico “progetto di disciplina”, sulle cause delle tante criticità, limitando il più delle volte le possibilità terapeutiche a rimedî meramente sintomatici (che tamponano soltanto gli effetti).
Vicenda cui segue inevitabilmente “a ruota” anche la questione dell’efficacia del diritto nel far fronte a tali problematiche, e dunque pure alla perdurante esigenza, intrinseca ai fenomeni di inosservanza, di poter apprestare un credibile sistema sanzionatorio, a tutt’oggi ancóra fortemente legato alla territorialità.
Né è a dire come tale problema risulti immensamente accresciuto nel momento in cui, oltre a quella territoriale, venga a mancare pure la dimensione materiale degli oggetti che dovrebbero essere tutelati, mettendo così impietosamente in evidenza tutti gli handicap del moderno law enforcement.
Segnatamente lo strutturale intreccio fra questi elementi sarebbe alla base dell’osservazione secondo cui, come da più parti si sente ripetere, molte “categorie giuridiche” avrebbero ormai acquisito una liquidità tale da dover essere “riviste”.
Lessico equivoco per proporre un aggiornamento, più che del(l’idea di) diritto in sé, della concezione e della configurazione dei suoi strumenti operativi (soprattutto di tutela), ossia della modalità con cui si possono perseguire e realizzare delle politiche attraverso il diritto.
E proprio in questo senso va ricercata anche la connessione fra i diversi interventi qui raccolti, che costituiscono altrettante testimonianze delle “strategie d’azione” elaborabili con riferimento alle problematiche sollevate dalla prassi (economico-sociale) e che spesso solo nella prassi (degli organi di garanzia) riescono ad ottenere una soluzione di qualche efficacia.
Senza dimenticare, naturalmente, come talvolta all’efficacia potrebbe non coincidere l’efficienza, come puntualmente evidenziano tutti quei casi - tutt’altro che infrequenti nelle materie de quibus - in cui per promuovere un interesse meritevole di tutela si rischia, magari senza accorgersene, di comprimerne più che proporzionalmente un altro altrettanto meritevole.
Del resto, particolarmente in materie tanto “sensibili”, nessuna soluzione - per quanto utile (e fors’anche necessaria) - parrebbe mai risolversi in una panacea, e chiudendo un vecchio problema sùbito se ne aprirebbero nei nuovi.
Ed è proprio per questo che, per la relativa riflessione, sembrerebbe auspicabile astrarre dal dato episodico, superando le lusinghe della contingenza e possibilmente mantenendo sempre tesa l’attenzione sul complesso dei princìpi e degli equilibri prefigurati dalla Carta costituzionale.
Ritornano non a caso - come dire: nomen, omen - proprio a partire da un dialogo con (e su) alcune delle Istituzioni più “dinamiche” del diritto, dall’Autorità Garante per la protezione dei dati personali alla Società Italiana Autori ed Editori passando per la Corte costituzionale, la cui particolarissima posizione all’interno dell’ordinamento strutturalmente garantisce un link privilegiato con la realtà sociale, e a maggior ragione sembrerebbe suggerirlo oggi, là dove la società si ritrova proiettata - per dirla con Umberto Galimberti - in una “età della tecnica” per molti aspetti di ardua decifrabilità.
Una situazione a tratti confusa e perennemente instabile, pertanto, contraddistinta da non pochi elementi d’insoddisfazione e disagio, che certamente parrebbero aver contribuito all’instaurarsi di quel clima da “emergenza permanente” in cui – com’era inevitabile – torna a risuonare con insistenza anche la sirena delle Riforme: da quella fiscale a quella universitaria, da quella del CSM e più in generale della giustizia a quella costituzionale e così avanti, alle quali per vocazione già guardano “golosamente” i Seminari Mutinensi di domani.
In queste pagine s’intrecciano così percorsi d’approfondimento su problematiche apparentemente separate e per certi versi anche distanti - Tutele della riservatezza e dati personali nella società contemporanea, Cinquant’anni di prassi della Corte costituzionale ed Evoluzioni delle tutele del diritto d’autore - ma in realtà legate da un comune filo conduttore: quello dell’inesausta tensione del sistema giuridico verso assetti e conformazioni complessivamente in grado di adempiere alla sua generale funzione di “forza ordinante”.
Ruolo, questo, che talora parrebbe far passare in secondo piano l’aspetto formale dei documenti normativi scritti, per mettere invece in rilievo la dimensione più sostanziale e “plastica” dell’esperienza giuridica, imponendo a chi si prefigga di studiare in termini di completezza la relativa fenomenologia di munirsi d’una strumentazione (e del connesso apparato concettuale) ulteriore e in un certo senso più aggiornata rispetto a quella tradizionale del giurista.
Il tema, a ben vedere, non è nuovo, bensì antico quanto il diritto stesso, e concerne la capacità (e la duttilità) di quest’ultimo di reagire efficacemente - con una risposta in termini di adeguata disciplina - agli “stimoli” che senza sosta gli provengono dai vari settori della società.
Discorso vecchio, si diceva, ma che solleva oggi problemi inediti in rapporto a metamorfosi sociali via via sempre più repentine e imprevedibili, e nondimeno radicali in quanto connesse a innovazioni tecnologiche dalla portata epocale - e con difficili raffronti nel passato, almeno dalla rivoluzione industriale in avanti - anche e soprattutto per l’idoneità ad incidere sulla sfera più intima della persona, concorrendo a causare, per certi aspetti, veri e proprî muamenti antropologici.
A fronte di tutto ciò, parrebbero scricchiolare molti dei capisaldi su cui fino ad oggi sembravano strutturalmente reggersi gli ordinamenti giuridici quali (fonte di) disciplina tendenzialmente stabile della condotta umana, limitata dai confini di una territorialità statale gelosamente custodita, e riferita per lo più alla regolazione di rapporti aventi per oggetto beni tangibili.
Dietro alle forme e ai colori abbaglianti di una contemporaneità in costante subbuglio - della quale diviene sempre più difficile cogliere la cifra essenziale in mezzo ad un mare d’informazioni apparentemente indistinte e monodimensionali - viene così inesorabilmente rimesso in discussione lo stesso rapporto che il diritto aveva instaurato con la dimensione del tempo, dello spazio e della materialità.
La fissazione di credibili punti d’equilibrio fra contrapposte esigenze, un tempo coronamento durevole di rassicuranti procedure pubbliche dalla piena democraticità (precedute da adeguati periodi di ponderazione), oggi parrebbe piuttosto destinata a somigliare ad una diretta televisiva “minuto per minuto”, costretta a rincorrere “rivoluzioni quotidiane” faticosamente gestibili col “passo” tipico degli organi rappresentativi, inducendo così - a torto o a ragione, ma certo non senza motivo - a guardare altrove: ai giudici, alle Autorità indipendenti, alla Corte costituzionale, e così avanti.
Contemporaneamente, la transnazionalità - la “globalità”, come si usa dire - dei fenomeni oggetto di regolazione giuridica rende vieppiù difficoltoso agire direttamente, tramite un autentico “progetto di disciplina”, sulle cause delle tante criticità, limitando il più delle volte le possibilità terapeutiche a rimedî meramente sintomatici (che tamponano soltanto gli effetti).
Vicenda cui segue inevitabilmente “a ruota” anche la questione dell’efficacia del diritto nel far fronte a tali problematiche, e dunque pure alla perdurante esigenza, intrinseca ai fenomeni di inosservanza, di poter apprestare un credibile sistema sanzionatorio, a tutt’oggi ancóra fortemente legato alla territorialità.
Né è a dire come tale problema risulti immensamente accresciuto nel momento in cui, oltre a quella territoriale, venga a mancare pure la dimensione materiale degli oggetti che dovrebbero essere tutelati, mettendo così impietosamente in evidenza tutti gli handicap del moderno law enforcement.
Segnatamente lo strutturale intreccio fra questi elementi sarebbe alla base dell’osservazione secondo cui, come da più parti si sente ripetere, molte “categorie giuridiche” avrebbero ormai acquisito una liquidità tale da dover essere “riviste”.
Lessico equivoco per proporre un aggiornamento, più che del(l’idea di) diritto in sé, della concezione e della configurazione dei suoi strumenti operativi (soprattutto di tutela), ossia della modalità con cui si possono perseguire e realizzare delle politiche attraverso il diritto.
E proprio in questo senso va ricercata anche la connessione fra i diversi interventi qui raccolti, che costituiscono altrettante testimonianze delle “strategie d’azione” elaborabili con riferimento alle problematiche sollevate dalla prassi (economico-sociale) e che spesso solo nella prassi (degli organi di garanzia) riescono ad ottenere una soluzione di qualche efficacia.
Senza dimenticare, naturalmente, come talvolta all’efficacia potrebbe non coincidere l’efficienza, come puntualmente evidenziano tutti quei casi - tutt’altro che infrequenti nelle materie de quibus - in cui per promuovere un interesse meritevole di tutela si rischia, magari senza accorgersene, di comprimerne più che proporzionalmente un altro altrettanto meritevole.
Del resto, particolarmente in materie tanto “sensibili”, nessuna soluzione - per quanto utile (e fors’anche necessaria) - parrebbe mai risolversi in una panacea, e chiudendo un vecchio problema sùbito se ne aprirebbero nei nuovi.
Ed è proprio per questo che, per la relativa riflessione, sembrerebbe auspicabile astrarre dal dato episodico, superando le lusinghe della contingenza e possibilmente mantenendo sempre tesa l’attenzione sul complesso dei princìpi e degli equilibri prefigurati dalla Carta costituzionale.
Aljs Vignudelli
Ordinario di Diritto Costituzionale
nell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
Ordinario di Diritto Costituzionale
nell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia