Lorenza Carlassare
LA CONCEZIONE DELLA LEGALITA' IN SERGIO FOIS
Sommario: 1. ‘Legalità’ nel linguaggio giuridico e nel linguaggio comune - 2. Legalità, legittimità, riserva di legge - 3. Il principio di legalità e la sua origine - 4. I tre significati del principio di legalità della funzione amministrativa - 5. La concezione della legalità e del suo fondamento nel pensiero di Sergio Fois - 6. La crisi del principio: effettività contro legalità. Critica ai giuristi arresi alla forza del ‘fatto’ - 7. La legalità nella giurisprudenza costituzionale: la violazione della legalità sostanziale come autonomo vizio degli atti legislativi
1. ‘Legalità’ nel linguaggio giuridico e nel linguaggio comune
Innanzitutto desidero ringraziare con sincero calore gli organizzatori di questo Convegno, Aljs Vignudelli in primo luogo, per l’invito che mi è stato fatto a venire qui, oggi, per ricordare Sergio Fois e la sua dottrina. Lo stimavo come giurista, mi piaceva come essere umano per ragioni molteplici, la sua cultura, la sua vivacità, il suo modo di esporre con passione idee e pensieri. Ma anche, credo, per un motivo più personale: mi sembrava di intuire, al di là di teorizzazioni a volte differenti, che come studiosi avessimo in comune alcuni intenti di fondo, uno stesso interesse per i medesimi temi e soprattutto il desiderio di raggiungere risultati in linea con lo spirito antiautoritario che ci animava, vivissimo in lui. Tutto ciò che poteva servire a limitare il potere, a creare difese ai diritti dei singoli, ad ampliare le sfere di libertà, rientrava nei suoi interessi di studioso, diveniva oggetto di ricerche che si traducevano in opere giuridiche del massimo rigore. Il rigore scientifico è stato sempre la nota dominante del suo lavoro di giurista.
Il principio di legalità è un tema sul quale entrambi abbiamo riflettuto. Sergio Fois ne trattò dapprima all’interno di un più ampio e poderoso studio sulla riserva di legge – un istituto giuridico diverso dalla legalità cui lo unisce la matrice comune – e successivamente in una intensa e tormentata ‘Voce’ dell’Encicopedia del diritto. In un Convegno dell’Associazione italiana dei costituzionalisti a Napoli [1], tornando a riflettere sul principio e la sua portata in relazione al potere regolamentare governativo e al suo uso, ebbe modo di chiarire, mi pare definitivamente, il suo pensiero.
Parlare della legalità non è semplice. Legalità è un termine che ricorre non solo nel linguaggio giuridico ma anche, e con una certa frequenza, nel linguaggio politico e nel linguaggio comune in un significato ovviamente più generale (e generico) rispetto a quello, anzi a quelli, che gli attribuiscono i giuristi; un significato che tuttavia interessa per la vicinanza con ‘legalità’ intesa come ‘legittimità’, ma soprattutto per un’assonanza di fondo (nell’esigenza di ‘conformità’) col significato più specifico e tecnicamente preciso(legalità sostanziale).
Nel linguaggio comune e politico ‘legalità’ sta a significare sistema, ‘ordine legale’, ed è di frequente accompagnata da un aggettivo ed è su questo che si vuol mettere l’accento. Si parla così di ‘legalità repubblicana’, di ‘legalità monarchica’, di ‘legalità democratica’, di ‘legalità internazionale’, per sottolineare i connotati essenziali di un sistema del quale si sottintende la bontà, implicitamente espungendo dalla legalità – qualificata dall’aggettivo – tutto ciò che in qualunque modo vi contrasti. Istanze monarchiche, ad esempio, sono ‘fuori’ dalla legalità repubblicana, e viceversa: per il giudizio di valore che esprime (e in un certo senso per la carica ideologica che contiene) la legalità del linguaggio comune si avvicina in qualche ad una delle accezioni del linguaggio giuridico, e precisamente a ‘legittimità’ (infra,§2).
Ciò che interessa maggiormente in quanto accomuna tutte le accezioni di legalità – a partire dalle meno tecniche e senza aggettivazioni a quella dei giuristi – è che sempre viene proposta come un parametro positivo cui misurare la conformità di azioni, fatti, sistemi: ogni discorso sulla mafia, ad esempio, la contrappone alla legalità, all’‘ordine legale’ con il quale tutte le sue manifestazioni (dalle regole alle azioni) sono in contrasto. Ed in questo suo rappresentare un parametro per valutare norme, atti, comportamenti sta la forte somiglianza con l’essenza del ‘principio di legalità’ nel suo significato proprio di legalità sostanziale(infra,§4.).
I giuristi, come già accennavo, usano spesso il temine legalità come sinonimo di altri, ben diversi, concetti e istituti.
2. Legalità, legittimità, riserva di legge
Nel linguaggio giuridico si parla sovente di ‘legalita’ come sinonimo di ‘legittimità’ oppure di ‘riserva di legge’, figure concettualmente autonome benché collegate da un nesso profondo.
Nonostante l’impiego talora promiscuo dei termini, la differenza fra legittimità e legalità sembra abbastanza netta: entrambe attributi del potere, l’una riguarderebbe il ‘titolo’ del potere medesimo, l’altra il suo esercizio’ [2]. La legittimità dovrebbe dare risposta al problema della giustificazione de1l’autorità dello Stato e/o delle persone e degli organi che ne sono investiti.
I rapporti fra le due appaiono talora più complessi: la legalità può servire a sorreggere (o a fondare) la legittimità [3], ossia il rapporto, effettivo e legale insieme, fra esercizio del potere e consenso [4]. La differenza tra le due in tal caso si confonde perché la legittimità é riferita non solo al titolo, ma anche all’esercizio del potere, legittimo solo se rispetta determinati valori per la cui tutela l’autorità si considera costituita. Sicché la loro violazione farebbe venir meno la giustificazione del1’obbligazione politica e quindi la ‘legittimità’ del potere. Oggi la funzione politica di fornire copertura al potere é svolta dalla volontà popolare che si è sostituita ai vecchi criteri di legittimazione (a quello dinastico,in particolare). Ed è interessante che in Weber la legalità non si connetta ad un sistema qualsiasi, ma ad un sistema specifico, lo Stato di diritto “caratterizzato da certi requisiti giuridico-formali atti a limitare l’arbitrio del potere e a garantire una sfera di liberta individuale” [5]. Legalità, dunque, funzionale alla limitazione del potere, realizzata mediante la supremazia della legge quale atto degli organi di rappresentanza democratica.
La duplice valenza, garantista e democratica è ciò che hanno in comune il principio di legalità e la ‘riserva di legge’ che tuttavia assolvono la funzione di limitare il potere in modi differenti. Eppure nel linguaggio giuridico la parola legalità è usata spesso per significare riserva di legge: parlando di “legalità delle pene” o di “legalità dei tributi” s’intende riferirsi alla riserva di legge in materia penale e in materia tributaria, poste rispettivamente dagli art. 25 e 23 della Costituzione, due delle tante disposizioni costituzionali che affidano alla fonte legislativa, ad esclusione di ogni altra, la disciplina di una materia, in primo luogo diritti e libertà (art.13e ss.). Nessun intervento nella sfera individuale può essere disposto se non dalla legge approvata dal Parlamento nel quale sono rappresentate le minoranze e l’opposizione ha voce.
Dobbiamo in particolare a Sergio Fois questo fondamentale chiarimento sulla riserva di legge e sulla sua ‘ratio’ che, al di là i tanti discorsi fatti sino allora, nella monografia del 1963 ha messo il segno su ciò che veramente caratterizza l’istituto, lo illumina e gli dà senso entro lo ‘Stato di diritto’: non il Governo con proprio decreto – vale a dire non la sola maggioranza – può limitare i diritti o intervenire in materia di libertà. La voce delle minoranze è assente, la decisione è presa senza pubblicità e senza dibattito; se manca la dialettica parlamentare viene meno la garanzia politica oltre che giuridica.
3. Il principio di legalità e la sua origine
Nel principio di legalità il ruolo della legge è diverso, ma non meno essenziale di quello che assume nella ‘riserva’. Il principio, che nel continente europeo si afferma a seguito delle ideologie connesse alla rivoluzione dell’89, ha origini lontane. Ricollegabile in qualche modo alla ‘isonomia’ dei greci, è sicuramente presente nelle democrazie italiane dove i magistrati dell’età comunale erano tenuti a conformare la loro azione alle norme, generali e astratte, previamente poste a garanzia di certezza, eguaglianza, onde impedire l’esercizio arbitrario del potere [6]. E già da allora la valenza garantista espressa nella necessita della previa norma (che precedendo l’agire lo vincola e condiziona)si accompagnava alla valenza democratica, all’esigenza che la norma provenisse da un atto che traeva “la sua forza vincolante dalla volontà dei cittadini” [7]. Altrimenti, se tutto si riconduce alla volontà del principe – che pone esso stesso la norma cui dovrà conformarsi l’azione del suo apparato – ogni tentativo di parlare di legalità come conformità dell’azione alle disposizioni esistenti si scontra con il potere di deroga del principe e l’inesistenza di norme per i gradi più alti dell’apparato. L’esempio addotto dalla dottrina a rappresentare tale situazione è il Regno di Sicilia con Federico II [8]. Il principio di legalità rivive e si afferma nell’Europa continentale a seguito delle ideologie connesse alla rivoluzione e trova elaborazione completa (anche se non sempre univoca) nella teoria dello Stato di diritto di cui é nucleo qualificante ed essenziale. Sebbene il termine Rechtsstaat abbia avuto fortuna per i giuristi dell’Impero germanico, il modello è quello francese nel quale confluiscono due fondamentali istanze. La prima – che l’amministrazione come i tribunali sia sottoposta alla legge – corrisponde ad un’esigenza avvertita già nella monarchia assoluta dove invece gli intendenti del re erano “en dehors de la loi”, o, addirittura, “au dessus de la loi”. La seconda, l’idea della sovranità popolare, conduce per altra via al medesimo risultato: il popolo esercita la sovranità ponendo le regole generali cui tutti, giudici, funzionari e lo stesso Capo dello Stato dovranno conformarsi [9]. L’equazione legge-volontà generale fornisce la base per ricondurre la legalità ad uno dei cardini dell’ideo1ogia della Rivoluzione: il principio democratico. E così ritornano, precisandosi meglio, le due valenze della legalità medievale. Sergio Fois ben sottolinea, nell’oggi, che la ‘soggezione’ dei giudici è soltanto “ad atti derivanti dalla volontà di quell’organo rappresentativo attraverso il quale di regola si esprime il principio della ‘sovranità popolare’” [10].
La legalità appare dunque già da secoli sufficientemente delineata nei suoi tratti essenziali. Nonostante ciò e pur essendo – per comune definizione – uno dei cardini degli ordinamenti attuali, il principio di legalità non sempre è inteso o applicato allo stesso modo: né la varietà di significati è correlata solo alla specificità dei diversi settori cui lo si riferisce.
Come principio generale del moderno Stato di diritto la legalità riguarda l’intera attività degli organi pubblici in modi in parte diversi per ciascuna funzione e con problematiche differenziate a seconda dei settori in cui opera. Rispetto alla giurisdizione, la soggezione del giudice alla legge è indiscussa da sempre (art. 101 Cost.). Il ‘diritto libero’ è creazione autoritaria (Germania nazista. Unione sovietica). Rispetto alla funzione legislativa, il discorso si prospetta ovviamente solo quando la Costituzione è rigida e garantita; e allora il principio si estende alla legislazione che ha da svolgersi in conformità alle norme costituzionali poste a parametro di legittimità delle leggi: è la legalità costituzionale, presidiata dalla Corte, l’ultimo aspetto del principio.
Tuttavia, tradizionalmente, la problematica specifica del principio di legalità attiene ai rapporti fra potere legislativo e governo-amministrazione, ed ha come terzo termine necessario il potere giurisdizionale in funzione di controllo del rispetto degli atti del primo da parte del secondo. Le ragioni, storiche e non, le ha ben messe in luce Sergio Fois [11].
4. I tre significati del principio di legalità della funzione amministrativa
La varietà di significati non è dovuta soltanto all’uso del termine ‘legalità’ per designare concetti contigui (riserva di legge, legittimità); il suo stesso contenuto viene variamente concepito. Al principio di legalità, pur strettamente inteso, non sempre si attribuisce una medesima portata e una medesima intensità.
Anche limitato alla funzione amministrativa, il principio viene inteso essenzialmente in tre modi: a) come semplice ‘non contrarietà’ alla legge degli atti dell’amministrazione, libera di agire dove la legge manchi; b) come necessità di una base legale per esercitare il potere; c) come conformità alla legge degli atti del governo-amministrazione, siano essi normativi (regolamenti) o concreti (provvedimenti) [12]. Così intesa, la legalità non è soltanto un limite per l’amministrazione – che non può agire senza una legge che le abbia attribuito specificamente il relativo potere, né può esercitare il potere attribuitole mediante atti in contrasto con la legge – ma rappresenta anche un vincolo per lo stesso legislatore che non può limitarsi ad attribuire un potere senza disciplinarlo. Se il principio di legalità esprime l’esigenza di raffrontabilità dell’atto amministrativo alla legge [13], e dunque la sua sindacabilità da parte del giudice, di fronte a una legge che si limiti al nudo conferimento di potere, senza indicazione alcuna in ordine al suo esercizio, di quale ‘conformità’ si potrebbe parlare,? Come potrebbe la legge svolgere la funzione di parametro ai fini della ‘raffrontabilità’?
I tre modi di intendere la legalità si connettono all’evoluzione storica degli ordinamenti costituzionali nei quali il principio è stato diversamente applicato in relazione alle caratteristiche assunte dagli ordinamenti stessi, non sempre favorevoli al suo pieno dispiegarsi. Solo rendendosi conto delle circostanze politiche e giuridiche che storicamente ne hanno determinato od ostacolato l’affermazione è possibile intendere appieno i due primi e limitati concetti di legalità (nei quali ancor oggi secondo parte della dottrina essa si risolverebbe). Ed è quindi possibile ricostruire poi il contenuto che il principio assume nell’ordinamento dell’Italia repubblicana, in presenza di una Costituzione rigida il cui rispetto da parte della legislazione è garantito dalla Corte costituzionale.
La mia idea è stata sempre che l’esigenza di fondo che la legalità intende soddisfare la connoti, le faccia assumere necessariamente un preciso contenuto in ragione della funzione che ha da svolgere. E tuttavia, per ragioni legate alla dimensione politica oltre che giuridica del potere, per lungo tempo non abbia potuto realizzarsi se non in maniera incompleta, non riuscendo a superare la forza delle vecchie concezioni sulla conformazione del potere, le forme di esercizio, il regime degli atti attraverso i quali si esercita. E soprattutto l’idea della ‘libertà’ del governo-amministrazione, potere ‘originario’, preesistente, autonomo e indipendente da qualsiasi attribuzione legislativa, in quanto legato al monarca. Idea che sopravvive nella monarchia parlamentare, benché ormai modellata sullo Stato di diritto: l’affermazione di Zanobini “l’amministrazione può fare soltanto ciò che la legge espressamente le consente”, è contrastata da Ranelletti per il quale l’esecutivo – potere ‘centrale’ nella vita dello Stato “in cui si concreta anzitutto ed essenzialmente la sovranità” – può agire liberamente quando la norma manchi [14].
Chiarificatrice è la distinzione di Eisenmann [15] tra la legalità come non contrarietà e legalità come conformità alla legge. La prima indica solo che gli atti amministrativi per essere legali non devono essere contrari o incompatibili con le norme di legge; nella seconda la legge è il modello che l’atto deve realizzare: diversissime sono le conseguenze sulla libertà d’agire dell’amministrazione nel silenzio della legge. Dalla concezione della legalità come ‘non contrarietà’ alla legge, essendo l’amministrazione tenuta solo al rispetto della legislazione esistente con la quale non può essere in contrasto (una concezione nella quale la legalità finisce per coincidere con la ‘preferenza’ della legge), ne discende la possibilità per l’amministrazione medesima di compiere tutti gli atti non espressamente vietati, compresi quelli non previsti dalla regolamentazione legislativa: “1a ou il n’éxiste pas de loi, il ne peut pas y avoir d’illégalité”. Incredibilmente, quest’idea non è ancora del tutto scomparsa presso gli amministrativisti.
5. La concezione della legalità e del suo fondamento nel pensiero di Sergio Fois
Qual è la posizione di Sergio Fois di fronte alle diverse accezioni di legalità?
Fermamente contrario all’idea della libertà dell’amministrazione, è un sicuro sostenitore del principio di legalità come necessità di una base legale per l’esercizio dei poteri del governo-amministrazione [16], quindi dell’accezione comunemente designata come ‘legalità formale’. In realtà c’è molto di più. Il suo pensiero si chiarisce progressivamente nei lavori successivi, e già nella voce dell’Enciclopedia del diritto risulta abbastanza diverso, come dimostrano le sue conclusioni in ordine all’altra controversa questione: quale sia il fondamento del principio di legalità. Questione rilevante soprattutto dal punto di vista del valore del fondamento stesso, ben diverso ovviamente, a seconda che lo si rinvenga in norme di livello semplicemente legislativo – quindi senza effetto vincolante per il legislatore – o, invece, nella stessa Costituzione. Dopo l’esame critico delle diverse dottrine [17], Fois esprime l’opinione che il principio di legalità abbia fondamento costituzionale e non semplicemente legislativo, e che tale fondamento possa essere costituito dall’art.101, comma 2 della Costituzione: “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”.
La legalità, egli dice, “rappresenta il criterio in base al quale il giudice deve, nei singoli casi, impostare la risposta al quesito relativo a quale ‘comando’, ‘precetto’ o ‘regola’ egli debba considerare applicabile, o comunque utilizzare nella soluzione delle suddette controversie”. E dunque il giudice deve utilizzare comandi, precetti o regole solo se voluti o ammessi dalla legge e “solo nei limiti ed alle condizioni stabilite al riguardo dalla legge” stessa. Il giudice, nell’esercizio della sua funzione tipica, deve basarsi “solo su ciò che sia voluto o consentito dalla legge”, la legalità come conformità formale (secondo la denominazione che egli usa) “se esattamente intesa, sembra implicare che gli atti (giuridici) possano imporsi al giudice (e quindi per tramite delle sue decisioni, a tutti i soggetti dell’ordinamento) solo in base ed in conseguenza della volontà della legge” e quindi esigere che ogni precetto giuridico si fondi su una legge [18].
Fois precisa subito che non basta un’attribuzione generica: ci deve essere una specifica attribuzione di potere che “indichi almeno il fine al quale il potere stesso dovrà rivolgersi, e la delimitazione della materia (dell’oggetto) sulla quale il potere dovrà esplicarsi “ [19]. In particolare con l’indicazione necessaria del “fine” – che costituisce una fondamentale limitazione della discrezionalità dell’esecutivo-amministrazione e rende l’atto controllabile qualora al quel fine non corrisponda – il pensiero di Fois si allontana dalla ‘legalità formale’ come semplice necessità di una base legale arricchendola di contenuto, anche se egli afferma di non concepirla come legalità sostanziale [20]. Mi pare che alla fine sia solo questione di nomi: a quella che io chiamo legalità sostanziale egli sembra avvicinarsi sempre più come risulta, in particolare, nell’intervento al Convegno di Napoli. Dove, fra l’altro, la sua ferma critica alla ammissibilità di regolamento ‘indipendenti’ e di regolamenti delegati’ (che già considerava in radicale contrasto col principio di legalità [21], si rafforza di fronte alle figure anomale previste dalla legge n. 400 del 1988. Da allora,in particolare, mi è parso davvero che i nostri pensieri finissero per coincidere.
6. Effettività contro legalità:la crisi. Critica ai giuristi arresi alla ‘forza del fatto’
Per Fois il discorso non si arresta qui. La conclusione finale è la crisi della legalità messa in causa dall’effettività: “il principio di effettività, considerato nelle sue implicazioni e conseguenze, in ultima analisi entra in radicale contrasto col principio di legalità, cosicché l’incondizionata accettazione dell’uno pone profondamente in crisi la possibilità di affermazione dell’altro che non sia necessariamente verbale o velleitaria.” Sottolineando “la quantità e la natura delle contraddizioni che di fatto si oppongono al principio di legalità” così come da lui ricostruito in base all’art.101 Cost.(l’esistenza e il numero di regolamenti indipendenti e di regolamenti delegati innanzitutto), egli denuncia la crisi della legalità “nella sua dimensione concreta” [22].
Ma la conclusione pessimistica e negativa non si arresta alla crisi del principio. Le implicazioni della negazione nei fatti del principio stesso “può addirittura condurre alla stessa impossibilità di concepire il cosiddetto ‘ordinamento giuridico’ statale in termini di ‘ordinamento’, o almeno all’impossibilità di descriverne la struttura e il funzionamento in termini di organica e coerente unità” [23]. Il problema della legalità e i profili in cui si rivela la sua crisi, pongono di fronte all’alternativa – che Fois considera “allo stato degli atti insolubile” – da un lato di rinunziare ad applicare il principio nel nostro ordinamento, dall’altro di constatare la “radicale inconsistenza” che esso rivela di fronte a quel criterio di effettività che ormai sembra caratterizzare “profondamente e diffusamente“ la scienza giuridica.
Alla fine allora scopriamo che ciò che Sergio Fois in definitiva vuol denunciare è l’arrendersi della scienza giuridica ai fatti. Il valore attribuito al ‘criterio di effettività’ – che sembra rappresentare “l’unico vero ‘valore giuridico’”, rappresenta uno tra gli aspetti “di quel processo di ‘neutralizzazione’ della scienza (e della ‘ragione’) che caratterizza gli attuali orientamenti della cultura, ivi compresa la cultura giuridica”. Infatti, citando Horkheimer – la neutralizzazione della ragione “la trasforma in sempre maggior misura in apparato buono solo a registrare dati” – Fois conclude con le parole di quello stesso autore che “ai nostri giorni, il frenetico desiderio degli uomini di adattarsi a qualcosa che ha la forza di essere,… ha condotto a una situazione di razionalità irrazionale”, all’autodissoluzione della ragione con conseguenze fatali soprattutto nel campo degli ordinamenti sociali [24].
7. La legalità nella giurisprudenza costituzionale: la violazione della legalità sostanziale come autonomo vizio degli atti legislativi.
Nei sistemi (parlamentari) a Costituzione flessibile si è avuto lo svuotamento di ogni valore ‘sostanziale’ del principio, ridotto a mera ‘legalità formale’ com’è facilmente comprensibile. Dove il Parlamento non ha sopra di sé una Costituzione rigida che è tenuto rispettare, certamente non impone vincoli a sé stesso, neppure se derivano da fondamentali principi. E dunque, non può trovare applicazione la ‘legalità sostanziale’ che limita non solo l’esecutivo amministrazione ma la legge stessa, tenuta a fornire una prima disciplina del potere attribuito,indicando almeno le finalità che, attraverso il suo esercizio, deve realizzare. Non può, insomma attuarsi, in regime di costituzione flessibile, una legalità che imponga alla legge di conferire all’amministrazione soltanto un potere ‘discrezionale’ e mai un potere “libero nel fine” e quindi ‘politico’ [25].
Il discorso cambia radicalmente in presenza di una Costituzione rigida dove la legge non è più sovrana, ma è soggetta a principi di livello superiore il rispetto dei quali è garantito dal giudice delle leggi. Il mutamento fatica ad essere percepito e assorbito, come la nostra storia repubblicana dimostra, ma poi si fa strada. Contro le preoccupazioni e il pessimismo di Sergio Fois, anche per il principio di legalità è scesa in campo la Corte costituzionale, il suo intervento è reso possibile dall’attribuzione di un fondamento costituzionale al principio di legalità, che anche Fois sosteneva (supra, § 5).
La violazione della legalità sostanziale come autonomo vizio degli atti legislativi è affermata in modo esplicito nella sent. n.150 del 1982 dove la Corte costituzionale si è pronunziata sul principio, seppure con ritardo rispetto ad altre Corti. La legalita sostanziale come vincolo al legislatore, che determina l’incostituzionalità di leggi che attribuiscano poteri senza disciplinarli nella sostanza, ha trovato applicazione assai presto in Germania. La giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht è ricca di sentenze assolutamente univoche [26].
In Italia, bisogna aspettare la sent. 150/1982 per l’affermazione della sindacabilità di una legge che conferisca poteri non sufficientemente delimitati. La Corte costituzionale ha specificato che il principio di legalità richiede non solo che l’atto amministrativo “trovi un legittimo ed apposito supporto nella legislazione”, ma anche la previa delimitazione del suo “possibile contenuto sostanziale”. Concludendo che occorre, pertanto, una disposizione legislativa specifica “la quale, in apposita considerazione della materia,…vincoli e diriga le scelte del Governo”, chiarendo anche l’autonomia del principio di legalità(sostanziale) rispetto alla riserva di legge che viene pure in causa nella medesima sentenza per altri profili [27].
1. ‘Legalità’ nel linguaggio giuridico e nel linguaggio comune
Innanzitutto desidero ringraziare con sincero calore gli organizzatori di questo Convegno, Aljs Vignudelli in primo luogo, per l’invito che mi è stato fatto a venire qui, oggi, per ricordare Sergio Fois e la sua dottrina. Lo stimavo come giurista, mi piaceva come essere umano per ragioni molteplici, la sua cultura, la sua vivacità, il suo modo di esporre con passione idee e pensieri. Ma anche, credo, per un motivo più personale: mi sembrava di intuire, al di là di teorizzazioni a volte differenti, che come studiosi avessimo in comune alcuni intenti di fondo, uno stesso interesse per i medesimi temi e soprattutto il desiderio di raggiungere risultati in linea con lo spirito antiautoritario che ci animava, vivissimo in lui. Tutto ciò che poteva servire a limitare il potere, a creare difese ai diritti dei singoli, ad ampliare le sfere di libertà, rientrava nei suoi interessi di studioso, diveniva oggetto di ricerche che si traducevano in opere giuridiche del massimo rigore. Il rigore scientifico è stato sempre la nota dominante del suo lavoro di giurista.
Il principio di legalità è un tema sul quale entrambi abbiamo riflettuto. Sergio Fois ne trattò dapprima all’interno di un più ampio e poderoso studio sulla riserva di legge – un istituto giuridico diverso dalla legalità cui lo unisce la matrice comune – e successivamente in una intensa e tormentata ‘Voce’ dell’Encicopedia del diritto. In un Convegno dell’Associazione italiana dei costituzionalisti a Napoli [1], tornando a riflettere sul principio e la sua portata in relazione al potere regolamentare governativo e al suo uso, ebbe modo di chiarire, mi pare definitivamente, il suo pensiero.
Parlare della legalità non è semplice. Legalità è un termine che ricorre non solo nel linguaggio giuridico ma anche, e con una certa frequenza, nel linguaggio politico e nel linguaggio comune in un significato ovviamente più generale (e generico) rispetto a quello, anzi a quelli, che gli attribuiscono i giuristi; un significato che tuttavia interessa per la vicinanza con ‘legalità’ intesa come ‘legittimità’, ma soprattutto per un’assonanza di fondo (nell’esigenza di ‘conformità’) col significato più specifico e tecnicamente preciso(legalità sostanziale).
Nel linguaggio comune e politico ‘legalità’ sta a significare sistema, ‘ordine legale’, ed è di frequente accompagnata da un aggettivo ed è su questo che si vuol mettere l’accento. Si parla così di ‘legalità repubblicana’, di ‘legalità monarchica’, di ‘legalità democratica’, di ‘legalità internazionale’, per sottolineare i connotati essenziali di un sistema del quale si sottintende la bontà, implicitamente espungendo dalla legalità – qualificata dall’aggettivo – tutto ciò che in qualunque modo vi contrasti. Istanze monarchiche, ad esempio, sono ‘fuori’ dalla legalità repubblicana, e viceversa: per il giudizio di valore che esprime (e in un certo senso per la carica ideologica che contiene) la legalità del linguaggio comune si avvicina in qualche ad una delle accezioni del linguaggio giuridico, e precisamente a ‘legittimità’ (infra,§2).
Ciò che interessa maggiormente in quanto accomuna tutte le accezioni di legalità – a partire dalle meno tecniche e senza aggettivazioni a quella dei giuristi – è che sempre viene proposta come un parametro positivo cui misurare la conformità di azioni, fatti, sistemi: ogni discorso sulla mafia, ad esempio, la contrappone alla legalità, all’‘ordine legale’ con il quale tutte le sue manifestazioni (dalle regole alle azioni) sono in contrasto. Ed in questo suo rappresentare un parametro per valutare norme, atti, comportamenti sta la forte somiglianza con l’essenza del ‘principio di legalità’ nel suo significato proprio di legalità sostanziale(infra,§4.).
I giuristi, come già accennavo, usano spesso il temine legalità come sinonimo di altri, ben diversi, concetti e istituti.
2. Legalità, legittimità, riserva di legge
Nel linguaggio giuridico si parla sovente di ‘legalita’ come sinonimo di ‘legittimità’ oppure di ‘riserva di legge’, figure concettualmente autonome benché collegate da un nesso profondo.
Nonostante l’impiego talora promiscuo dei termini, la differenza fra legittimità e legalità sembra abbastanza netta: entrambe attributi del potere, l’una riguarderebbe il ‘titolo’ del potere medesimo, l’altra il suo esercizio’ [2]. La legittimità dovrebbe dare risposta al problema della giustificazione de1l’autorità dello Stato e/o delle persone e degli organi che ne sono investiti.
I rapporti fra le due appaiono talora più complessi: la legalità può servire a sorreggere (o a fondare) la legittimità [3], ossia il rapporto, effettivo e legale insieme, fra esercizio del potere e consenso [4]. La differenza tra le due in tal caso si confonde perché la legittimità é riferita non solo al titolo, ma anche all’esercizio del potere, legittimo solo se rispetta determinati valori per la cui tutela l’autorità si considera costituita. Sicché la loro violazione farebbe venir meno la giustificazione del1’obbligazione politica e quindi la ‘legittimità’ del potere. Oggi la funzione politica di fornire copertura al potere é svolta dalla volontà popolare che si è sostituita ai vecchi criteri di legittimazione (a quello dinastico,in particolare). Ed è interessante che in Weber la legalità non si connetta ad un sistema qualsiasi, ma ad un sistema specifico, lo Stato di diritto “caratterizzato da certi requisiti giuridico-formali atti a limitare l’arbitrio del potere e a garantire una sfera di liberta individuale” [5]. Legalità, dunque, funzionale alla limitazione del potere, realizzata mediante la supremazia della legge quale atto degli organi di rappresentanza democratica.
La duplice valenza, garantista e democratica è ciò che hanno in comune il principio di legalità e la ‘riserva di legge’ che tuttavia assolvono la funzione di limitare il potere in modi differenti. Eppure nel linguaggio giuridico la parola legalità è usata spesso per significare riserva di legge: parlando di “legalità delle pene” o di “legalità dei tributi” s’intende riferirsi alla riserva di legge in materia penale e in materia tributaria, poste rispettivamente dagli art. 25 e 23 della Costituzione, due delle tante disposizioni costituzionali che affidano alla fonte legislativa, ad esclusione di ogni altra, la disciplina di una materia, in primo luogo diritti e libertà (art.13e ss.). Nessun intervento nella sfera individuale può essere disposto se non dalla legge approvata dal Parlamento nel quale sono rappresentate le minoranze e l’opposizione ha voce.
Dobbiamo in particolare a Sergio Fois questo fondamentale chiarimento sulla riserva di legge e sulla sua ‘ratio’ che, al di là i tanti discorsi fatti sino allora, nella monografia del 1963 ha messo il segno su ciò che veramente caratterizza l’istituto, lo illumina e gli dà senso entro lo ‘Stato di diritto’: non il Governo con proprio decreto – vale a dire non la sola maggioranza – può limitare i diritti o intervenire in materia di libertà. La voce delle minoranze è assente, la decisione è presa senza pubblicità e senza dibattito; se manca la dialettica parlamentare viene meno la garanzia politica oltre che giuridica.
3. Il principio di legalità e la sua origine
Nel principio di legalità il ruolo della legge è diverso, ma non meno essenziale di quello che assume nella ‘riserva’. Il principio, che nel continente europeo si afferma a seguito delle ideologie connesse alla rivoluzione dell’89, ha origini lontane. Ricollegabile in qualche modo alla ‘isonomia’ dei greci, è sicuramente presente nelle democrazie italiane dove i magistrati dell’età comunale erano tenuti a conformare la loro azione alle norme, generali e astratte, previamente poste a garanzia di certezza, eguaglianza, onde impedire l’esercizio arbitrario del potere [6]. E già da allora la valenza garantista espressa nella necessita della previa norma (che precedendo l’agire lo vincola e condiziona)si accompagnava alla valenza democratica, all’esigenza che la norma provenisse da un atto che traeva “la sua forza vincolante dalla volontà dei cittadini” [7]. Altrimenti, se tutto si riconduce alla volontà del principe – che pone esso stesso la norma cui dovrà conformarsi l’azione del suo apparato – ogni tentativo di parlare di legalità come conformità dell’azione alle disposizioni esistenti si scontra con il potere di deroga del principe e l’inesistenza di norme per i gradi più alti dell’apparato. L’esempio addotto dalla dottrina a rappresentare tale situazione è il Regno di Sicilia con Federico II [8]. Il principio di legalità rivive e si afferma nell’Europa continentale a seguito delle ideologie connesse alla rivoluzione e trova elaborazione completa (anche se non sempre univoca) nella teoria dello Stato di diritto di cui é nucleo qualificante ed essenziale. Sebbene il termine Rechtsstaat abbia avuto fortuna per i giuristi dell’Impero germanico, il modello è quello francese nel quale confluiscono due fondamentali istanze. La prima – che l’amministrazione come i tribunali sia sottoposta alla legge – corrisponde ad un’esigenza avvertita già nella monarchia assoluta dove invece gli intendenti del re erano “en dehors de la loi”, o, addirittura, “au dessus de la loi”. La seconda, l’idea della sovranità popolare, conduce per altra via al medesimo risultato: il popolo esercita la sovranità ponendo le regole generali cui tutti, giudici, funzionari e lo stesso Capo dello Stato dovranno conformarsi [9]. L’equazione legge-volontà generale fornisce la base per ricondurre la legalità ad uno dei cardini dell’ideo1ogia della Rivoluzione: il principio democratico. E così ritornano, precisandosi meglio, le due valenze della legalità medievale. Sergio Fois ben sottolinea, nell’oggi, che la ‘soggezione’ dei giudici è soltanto “ad atti derivanti dalla volontà di quell’organo rappresentativo attraverso il quale di regola si esprime il principio della ‘sovranità popolare’” [10].
La legalità appare dunque già da secoli sufficientemente delineata nei suoi tratti essenziali. Nonostante ciò e pur essendo – per comune definizione – uno dei cardini degli ordinamenti attuali, il principio di legalità non sempre è inteso o applicato allo stesso modo: né la varietà di significati è correlata solo alla specificità dei diversi settori cui lo si riferisce.
Come principio generale del moderno Stato di diritto la legalità riguarda l’intera attività degli organi pubblici in modi in parte diversi per ciascuna funzione e con problematiche differenziate a seconda dei settori in cui opera. Rispetto alla giurisdizione, la soggezione del giudice alla legge è indiscussa da sempre (art. 101 Cost.). Il ‘diritto libero’ è creazione autoritaria (Germania nazista. Unione sovietica). Rispetto alla funzione legislativa, il discorso si prospetta ovviamente solo quando la Costituzione è rigida e garantita; e allora il principio si estende alla legislazione che ha da svolgersi in conformità alle norme costituzionali poste a parametro di legittimità delle leggi: è la legalità costituzionale, presidiata dalla Corte, l’ultimo aspetto del principio.
Tuttavia, tradizionalmente, la problematica specifica del principio di legalità attiene ai rapporti fra potere legislativo e governo-amministrazione, ed ha come terzo termine necessario il potere giurisdizionale in funzione di controllo del rispetto degli atti del primo da parte del secondo. Le ragioni, storiche e non, le ha ben messe in luce Sergio Fois [11].
4. I tre significati del principio di legalità della funzione amministrativa
La varietà di significati non è dovuta soltanto all’uso del termine ‘legalità’ per designare concetti contigui (riserva di legge, legittimità); il suo stesso contenuto viene variamente concepito. Al principio di legalità, pur strettamente inteso, non sempre si attribuisce una medesima portata e una medesima intensità.
Anche limitato alla funzione amministrativa, il principio viene inteso essenzialmente in tre modi: a) come semplice ‘non contrarietà’ alla legge degli atti dell’amministrazione, libera di agire dove la legge manchi; b) come necessità di una base legale per esercitare il potere; c) come conformità alla legge degli atti del governo-amministrazione, siano essi normativi (regolamenti) o concreti (provvedimenti) [12]. Così intesa, la legalità non è soltanto un limite per l’amministrazione – che non può agire senza una legge che le abbia attribuito specificamente il relativo potere, né può esercitare il potere attribuitole mediante atti in contrasto con la legge – ma rappresenta anche un vincolo per lo stesso legislatore che non può limitarsi ad attribuire un potere senza disciplinarlo. Se il principio di legalità esprime l’esigenza di raffrontabilità dell’atto amministrativo alla legge [13], e dunque la sua sindacabilità da parte del giudice, di fronte a una legge che si limiti al nudo conferimento di potere, senza indicazione alcuna in ordine al suo esercizio, di quale ‘conformità’ si potrebbe parlare,? Come potrebbe la legge svolgere la funzione di parametro ai fini della ‘raffrontabilità’?
I tre modi di intendere la legalità si connettono all’evoluzione storica degli ordinamenti costituzionali nei quali il principio è stato diversamente applicato in relazione alle caratteristiche assunte dagli ordinamenti stessi, non sempre favorevoli al suo pieno dispiegarsi. Solo rendendosi conto delle circostanze politiche e giuridiche che storicamente ne hanno determinato od ostacolato l’affermazione è possibile intendere appieno i due primi e limitati concetti di legalità (nei quali ancor oggi secondo parte della dottrina essa si risolverebbe). Ed è quindi possibile ricostruire poi il contenuto che il principio assume nell’ordinamento dell’Italia repubblicana, in presenza di una Costituzione rigida il cui rispetto da parte della legislazione è garantito dalla Corte costituzionale.
La mia idea è stata sempre che l’esigenza di fondo che la legalità intende soddisfare la connoti, le faccia assumere necessariamente un preciso contenuto in ragione della funzione che ha da svolgere. E tuttavia, per ragioni legate alla dimensione politica oltre che giuridica del potere, per lungo tempo non abbia potuto realizzarsi se non in maniera incompleta, non riuscendo a superare la forza delle vecchie concezioni sulla conformazione del potere, le forme di esercizio, il regime degli atti attraverso i quali si esercita. E soprattutto l’idea della ‘libertà’ del governo-amministrazione, potere ‘originario’, preesistente, autonomo e indipendente da qualsiasi attribuzione legislativa, in quanto legato al monarca. Idea che sopravvive nella monarchia parlamentare, benché ormai modellata sullo Stato di diritto: l’affermazione di Zanobini “l’amministrazione può fare soltanto ciò che la legge espressamente le consente”, è contrastata da Ranelletti per il quale l’esecutivo – potere ‘centrale’ nella vita dello Stato “in cui si concreta anzitutto ed essenzialmente la sovranità” – può agire liberamente quando la norma manchi [14].
Chiarificatrice è la distinzione di Eisenmann [15] tra la legalità come non contrarietà e legalità come conformità alla legge. La prima indica solo che gli atti amministrativi per essere legali non devono essere contrari o incompatibili con le norme di legge; nella seconda la legge è il modello che l’atto deve realizzare: diversissime sono le conseguenze sulla libertà d’agire dell’amministrazione nel silenzio della legge. Dalla concezione della legalità come ‘non contrarietà’ alla legge, essendo l’amministrazione tenuta solo al rispetto della legislazione esistente con la quale non può essere in contrasto (una concezione nella quale la legalità finisce per coincidere con la ‘preferenza’ della legge), ne discende la possibilità per l’amministrazione medesima di compiere tutti gli atti non espressamente vietati, compresi quelli non previsti dalla regolamentazione legislativa: “1a ou il n’éxiste pas de loi, il ne peut pas y avoir d’illégalité”. Incredibilmente, quest’idea non è ancora del tutto scomparsa presso gli amministrativisti.
5. La concezione della legalità e del suo fondamento nel pensiero di Sergio Fois
Qual è la posizione di Sergio Fois di fronte alle diverse accezioni di legalità?
Fermamente contrario all’idea della libertà dell’amministrazione, è un sicuro sostenitore del principio di legalità come necessità di una base legale per l’esercizio dei poteri del governo-amministrazione [16], quindi dell’accezione comunemente designata come ‘legalità formale’. In realtà c’è molto di più. Il suo pensiero si chiarisce progressivamente nei lavori successivi, e già nella voce dell’Enciclopedia del diritto risulta abbastanza diverso, come dimostrano le sue conclusioni in ordine all’altra controversa questione: quale sia il fondamento del principio di legalità. Questione rilevante soprattutto dal punto di vista del valore del fondamento stesso, ben diverso ovviamente, a seconda che lo si rinvenga in norme di livello semplicemente legislativo – quindi senza effetto vincolante per il legislatore – o, invece, nella stessa Costituzione. Dopo l’esame critico delle diverse dottrine [17], Fois esprime l’opinione che il principio di legalità abbia fondamento costituzionale e non semplicemente legislativo, e che tale fondamento possa essere costituito dall’art.101, comma 2 della Costituzione: “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”.
La legalità, egli dice, “rappresenta il criterio in base al quale il giudice deve, nei singoli casi, impostare la risposta al quesito relativo a quale ‘comando’, ‘precetto’ o ‘regola’ egli debba considerare applicabile, o comunque utilizzare nella soluzione delle suddette controversie”. E dunque il giudice deve utilizzare comandi, precetti o regole solo se voluti o ammessi dalla legge e “solo nei limiti ed alle condizioni stabilite al riguardo dalla legge” stessa. Il giudice, nell’esercizio della sua funzione tipica, deve basarsi “solo su ciò che sia voluto o consentito dalla legge”, la legalità come conformità formale (secondo la denominazione che egli usa) “se esattamente intesa, sembra implicare che gli atti (giuridici) possano imporsi al giudice (e quindi per tramite delle sue decisioni, a tutti i soggetti dell’ordinamento) solo in base ed in conseguenza della volontà della legge” e quindi esigere che ogni precetto giuridico si fondi su una legge [18].
Fois precisa subito che non basta un’attribuzione generica: ci deve essere una specifica attribuzione di potere che “indichi almeno il fine al quale il potere stesso dovrà rivolgersi, e la delimitazione della materia (dell’oggetto) sulla quale il potere dovrà esplicarsi “ [19]. In particolare con l’indicazione necessaria del “fine” – che costituisce una fondamentale limitazione della discrezionalità dell’esecutivo-amministrazione e rende l’atto controllabile qualora al quel fine non corrisponda – il pensiero di Fois si allontana dalla ‘legalità formale’ come semplice necessità di una base legale arricchendola di contenuto, anche se egli afferma di non concepirla come legalità sostanziale [20]. Mi pare che alla fine sia solo questione di nomi: a quella che io chiamo legalità sostanziale egli sembra avvicinarsi sempre più come risulta, in particolare, nell’intervento al Convegno di Napoli. Dove, fra l’altro, la sua ferma critica alla ammissibilità di regolamento ‘indipendenti’ e di regolamenti delegati’ (che già considerava in radicale contrasto col principio di legalità [21], si rafforza di fronte alle figure anomale previste dalla legge n. 400 del 1988. Da allora,in particolare, mi è parso davvero che i nostri pensieri finissero per coincidere.
6. Effettività contro legalità:la crisi. Critica ai giuristi arresi alla ‘forza del fatto’
Per Fois il discorso non si arresta qui. La conclusione finale è la crisi della legalità messa in causa dall’effettività: “il principio di effettività, considerato nelle sue implicazioni e conseguenze, in ultima analisi entra in radicale contrasto col principio di legalità, cosicché l’incondizionata accettazione dell’uno pone profondamente in crisi la possibilità di affermazione dell’altro che non sia necessariamente verbale o velleitaria.” Sottolineando “la quantità e la natura delle contraddizioni che di fatto si oppongono al principio di legalità” così come da lui ricostruito in base all’art.101 Cost.(l’esistenza e il numero di regolamenti indipendenti e di regolamenti delegati innanzitutto), egli denuncia la crisi della legalità “nella sua dimensione concreta” [22].
Ma la conclusione pessimistica e negativa non si arresta alla crisi del principio. Le implicazioni della negazione nei fatti del principio stesso “può addirittura condurre alla stessa impossibilità di concepire il cosiddetto ‘ordinamento giuridico’ statale in termini di ‘ordinamento’, o almeno all’impossibilità di descriverne la struttura e il funzionamento in termini di organica e coerente unità” [23]. Il problema della legalità e i profili in cui si rivela la sua crisi, pongono di fronte all’alternativa – che Fois considera “allo stato degli atti insolubile” – da un lato di rinunziare ad applicare il principio nel nostro ordinamento, dall’altro di constatare la “radicale inconsistenza” che esso rivela di fronte a quel criterio di effettività che ormai sembra caratterizzare “profondamente e diffusamente“ la scienza giuridica.
Alla fine allora scopriamo che ciò che Sergio Fois in definitiva vuol denunciare è l’arrendersi della scienza giuridica ai fatti. Il valore attribuito al ‘criterio di effettività’ – che sembra rappresentare “l’unico vero ‘valore giuridico’”, rappresenta uno tra gli aspetti “di quel processo di ‘neutralizzazione’ della scienza (e della ‘ragione’) che caratterizza gli attuali orientamenti della cultura, ivi compresa la cultura giuridica”. Infatti, citando Horkheimer – la neutralizzazione della ragione “la trasforma in sempre maggior misura in apparato buono solo a registrare dati” – Fois conclude con le parole di quello stesso autore che “ai nostri giorni, il frenetico desiderio degli uomini di adattarsi a qualcosa che ha la forza di essere,… ha condotto a una situazione di razionalità irrazionale”, all’autodissoluzione della ragione con conseguenze fatali soprattutto nel campo degli ordinamenti sociali [24].
7. La legalità nella giurisprudenza costituzionale: la violazione della legalità sostanziale come autonomo vizio degli atti legislativi.
Nei sistemi (parlamentari) a Costituzione flessibile si è avuto lo svuotamento di ogni valore ‘sostanziale’ del principio, ridotto a mera ‘legalità formale’ com’è facilmente comprensibile. Dove il Parlamento non ha sopra di sé una Costituzione rigida che è tenuto rispettare, certamente non impone vincoli a sé stesso, neppure se derivano da fondamentali principi. E dunque, non può trovare applicazione la ‘legalità sostanziale’ che limita non solo l’esecutivo amministrazione ma la legge stessa, tenuta a fornire una prima disciplina del potere attribuito,indicando almeno le finalità che, attraverso il suo esercizio, deve realizzare. Non può, insomma attuarsi, in regime di costituzione flessibile, una legalità che imponga alla legge di conferire all’amministrazione soltanto un potere ‘discrezionale’ e mai un potere “libero nel fine” e quindi ‘politico’ [25].
Il discorso cambia radicalmente in presenza di una Costituzione rigida dove la legge non è più sovrana, ma è soggetta a principi di livello superiore il rispetto dei quali è garantito dal giudice delle leggi. Il mutamento fatica ad essere percepito e assorbito, come la nostra storia repubblicana dimostra, ma poi si fa strada. Contro le preoccupazioni e il pessimismo di Sergio Fois, anche per il principio di legalità è scesa in campo la Corte costituzionale, il suo intervento è reso possibile dall’attribuzione di un fondamento costituzionale al principio di legalità, che anche Fois sosteneva (supra, § 5).
La violazione della legalità sostanziale come autonomo vizio degli atti legislativi è affermata in modo esplicito nella sent. n.150 del 1982 dove la Corte costituzionale si è pronunziata sul principio, seppure con ritardo rispetto ad altre Corti. La legalita sostanziale come vincolo al legislatore, che determina l’incostituzionalità di leggi che attribuiscano poteri senza disciplinarli nella sostanza, ha trovato applicazione assai presto in Germania. La giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht è ricca di sentenze assolutamente univoche [26].
In Italia, bisogna aspettare la sent. 150/1982 per l’affermazione della sindacabilità di una legge che conferisca poteri non sufficientemente delimitati. La Corte costituzionale ha specificato che il principio di legalità richiede non solo che l’atto amministrativo “trovi un legittimo ed apposito supporto nella legislazione”, ma anche la previa delimitazione del suo “possibile contenuto sostanziale”. Concludendo che occorre, pertanto, una disposizione legislativa specifica “la quale, in apposita considerazione della materia,…vincoli e diriga le scelte del Governo”, chiarendo anche l’autonomia del principio di legalità(sostanziale) rispetto alla riserva di legge che viene pure in causa nella medesima sentenza per altri profili [27].
Lorenza Carlassare
[1] Convegno Nazionale dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, su Legge e regolamento: trasformazione delle fonti nella dinamica del sistema politico, Napoli 27-28 ottobre, 1989.
[2] N. Bobbio, Legalità, in Dizionario della Politica (diretto da N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino), Torino, 1976.
[3] Il problema, un tempo fondamentale, della legittimità, sembra oggi problema desueto essendosi sostituita a questa nozione quella di legalità, la quale “apertamente o copertamente,finisce per assolvere proprio a quella funzione alla quale assolveva in passato il criterio di legittimità”: A. Passerin D’Entreves, Legalità e legittimità, in Studi in onore di Crosa, II, Milano 1960,1307-1308, e già C. Schmitt, Legalità e legittimità (1932), ora in Le categorie del politico, Bologna 1972. Va ricordato che M. Weber, Economia e società, (trad. it.)Milano 1961, 210, 212 nella sua classica tripartizione dei tipi puri di potere legittimo – accanto a quelli di carattere tradizionale e carismatico – colloca al primo posto il potere di carattere “razionale”, poggiante “sulla credenza nella legalità di ordinamenti statuiti e nel diritto al comando di coloro che sono chiamati ad esercitare il potere… in base ad essi”.
[4] A. Negri, Legittimità, in Enc. Feltrinelli-Fischer, Scienze Politiche, Milano. 1970, 209-210.
[5] Su ciò S. Castiglione, Legalità ,legittimità, legittimazione, in Sociologia dir, 1977, 23-26.
[6] U. Nicolini, Il principio di legalità nelle democrazie italiane, Padova, 1955, 23-24
[7] U. Nicolini, Il principio, cit., 23, 31
[8] P. Colliva, Ricerche sul principio di legalità nell’amministrazione del Regno di Sicilia al tempo di Federico II, Milano 1964, 86, 96 ss., 121, 292.
[9] O. Mayer, Le droit administratif allemand, I°, Paris, 1903, 66-69.
[10] S. Fois, Legalità (principio di) in Enc. Dir., XXIII, Milano 1973, 685.
[11] S. Fois, Legalità, cit., 660 ss.
[12] S. Fois, Legalità, cit., 663 ss. insiste particolarmente sulla impossibilità di distinguere, ai fini della legalità, regolamenti e provvedimenti amministrativi.
[13] Come dice V. Crisafulli, Principio di legalità e giusto procedimento, in Giur.Cost. 1962, 133 ss.
[14] Su ciò F. Levi, Legittimità (dir. amm.), in Enc. Dir. XXIV, Milano 1974, 124 ss.
[15] Nel senso che l’amministrazione “ne doit tenir que des conduites compatibles avec le système des règles législatives, c’est a dire qui ne méconnaissent ne contradisent, ne heurtent, ou n’enfreignent aucune disposition de la loi»: C. Eisenmann, Le droit administratif et le principe de légalité, in Conseil d’Etat. Etudes et documents, Paris 1957, 26 ss.
[16] S. Fois, La riserva di legge, Milano, 1963, in particolare 176-177 (e nota 227), 285 ss. (e nota 125).
[17] S. Fois, Legalità, cit.,666 ss.
[18] Ult. cit.,686.
[19] S. Fois, ult. cit. 689.
[20] S. Fois, ult. cit, 697.
[21] Ult. cit., 692 ss.
[22] S. Fois, Legalità, cit. 698 ss.
[23] Ult. cit., 702 ss.
[24] E qui Fois, cit., 703 riprende anche Wenzel.
[25] Secondo la comune distinzione della dottrina.
[27] Per la giurisprudenza del Bundesverfassungericht, già allora assai ricca e significativa (anche per la presenza di una norma costituzionale, l’art.80, comma1 che impone alla legge attributiva al governo del potere di emanare Rechtsverordnungen di determinare il contenuto, lo scopo e la misura della autorizzazioni concesse),rinvio a L. Carlassare, Regolamenti dell’esecutivo e principio di legalità, Padova, 1966, 140 ss.
[28] Per non appesantire il discorso rinvio alle osservazioni svolte in Atti governativi d’indirizzo e coordinamento tra principio di legalità e riserva di legge, in Le Regioni 1982, 1190 ss.
[2] N. Bobbio, Legalità, in Dizionario della Politica (diretto da N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino), Torino, 1976.
[3] Il problema, un tempo fondamentale, della legittimità, sembra oggi problema desueto essendosi sostituita a questa nozione quella di legalità, la quale “apertamente o copertamente,finisce per assolvere proprio a quella funzione alla quale assolveva in passato il criterio di legittimità”: A. Passerin D’Entreves, Legalità e legittimità, in Studi in onore di Crosa, II, Milano 1960,1307-1308, e già C. Schmitt, Legalità e legittimità (1932), ora in Le categorie del politico, Bologna 1972. Va ricordato che M. Weber, Economia e società, (trad. it.)Milano 1961, 210, 212 nella sua classica tripartizione dei tipi puri di potere legittimo – accanto a quelli di carattere tradizionale e carismatico – colloca al primo posto il potere di carattere “razionale”, poggiante “sulla credenza nella legalità di ordinamenti statuiti e nel diritto al comando di coloro che sono chiamati ad esercitare il potere… in base ad essi”.
[4] A. Negri, Legittimità, in Enc. Feltrinelli-Fischer, Scienze Politiche, Milano. 1970, 209-210.
[5] Su ciò S. Castiglione, Legalità ,legittimità, legittimazione, in Sociologia dir, 1977, 23-26.
[6] U. Nicolini, Il principio di legalità nelle democrazie italiane, Padova, 1955, 23-24
[7] U. Nicolini, Il principio, cit., 23, 31
[8] P. Colliva, Ricerche sul principio di legalità nell’amministrazione del Regno di Sicilia al tempo di Federico II, Milano 1964, 86, 96 ss., 121, 292.
[9] O. Mayer, Le droit administratif allemand, I°, Paris, 1903, 66-69.
[10] S. Fois, Legalità (principio di) in Enc. Dir., XXIII, Milano 1973, 685.
[11] S. Fois, Legalità, cit., 660 ss.
[12] S. Fois, Legalità, cit., 663 ss. insiste particolarmente sulla impossibilità di distinguere, ai fini della legalità, regolamenti e provvedimenti amministrativi.
[13] Come dice V. Crisafulli, Principio di legalità e giusto procedimento, in Giur.Cost. 1962, 133 ss.
[14] Su ciò F. Levi, Legittimità (dir. amm.), in Enc. Dir. XXIV, Milano 1974, 124 ss.
[15] Nel senso che l’amministrazione “ne doit tenir que des conduites compatibles avec le système des règles législatives, c’est a dire qui ne méconnaissent ne contradisent, ne heurtent, ou n’enfreignent aucune disposition de la loi»: C. Eisenmann, Le droit administratif et le principe de légalité, in Conseil d’Etat. Etudes et documents, Paris 1957, 26 ss.
[16] S. Fois, La riserva di legge, Milano, 1963, in particolare 176-177 (e nota 227), 285 ss. (e nota 125).
[17] S. Fois, Legalità, cit.,666 ss.
[18] Ult. cit.,686.
[19] S. Fois, ult. cit. 689.
[20] S. Fois, ult. cit, 697.
[21] Ult. cit., 692 ss.
[22] S. Fois, Legalità, cit. 698 ss.
[23] Ult. cit., 702 ss.
[24] E qui Fois, cit., 703 riprende anche Wenzel.
[25] Secondo la comune distinzione della dottrina.
[27] Per la giurisprudenza del Bundesverfassungericht, già allora assai ricca e significativa (anche per la presenza di una norma costituzionale, l’art.80, comma1 che impone alla legge attributiva al governo del potere di emanare Rechtsverordnungen di determinare il contenuto, lo scopo e la misura della autorizzazioni concesse),rinvio a L. Carlassare, Regolamenti dell’esecutivo e principio di legalità, Padova, 1966, 140 ss.
[28] Per non appesantire il discorso rinvio alle osservazioni svolte in Atti governativi d’indirizzo e coordinamento tra principio di legalità e riserva di legge, in Le Regioni 1982, 1190 ss.