La dottrina di Sergio Fois

Giuseppe Ugo Rescigno


Giuseppe Ugo Rescigno

LA CONCEZIONE DELLA LIBERTA' IN SERGIO FOIS

Sergio Fois e la libera manifestazione del pensiero

1. Dividerò la relazione in due parti: nella prima cerco di esporre i punti di partenza, la trama e le conclusioni più significative contenute nella monografia di Sergio Fois del 1957, intitolata Principi costituzionali e libera manifestazione del pensiero; nella seconda parte cercherò di riassumere le tesi più significative in materia di libertà di manifestazione del pensiero che Fois ha enunciato in numerosi saggi e articoli dal 1957 fino all’ultimo del 2000 (se non vado errato).

Il caso ha voluto che Sergio Fois pubblicasse la sua monografia nello stesso anno in cui Carlo Esposito leggeva il 22 febbraio 1957 nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma la sua famosa prolusione intitolata La libertà di manifestazione del pensiero nell’ordinamentoitaliano, pubblicata nel 1958. Questo spiega perché Fois, pur citando doverosamente alcuni scritti di Esposito, non citi mai, perché non poteva, il saggio di Esposito, e perché Esposito, pur conoscendo come si ricava dalle note alcuni primi lavori di Fois, non citi mai, perché non poteva, la monografia di Fois. Si tratta di un felice esperimento naturale (per dir così) che permette ai giuristi di verificare questioni di metodo fondamentali: a) anzitutto l’importanza dei punti di partenza in qualsiasi discorso giuridico: porre come premessa una piuttosto che un’altra tesi pregiudica inesorabilmente i risultati; è come fermarsi ad un bivio o un trivio o un quadrivio e così via, ed imboccare una strada anziché un’altra; è ovvio che si arriverà in luoghi diversi; b) nello stesso tempo è sorprendente notare come nonostante i punti di partenza diversi è possibile che su specifiche questioni si giunga a conclusioni eguali o molto vicine; c) il fatto che una posizione apparentemente perdente nel confronto con un’altra riemerga sotto altra veste e con altre parole anni dopo: nel nostro caso è evidente che la posizione di Fois è rimasta praticamente unica, non ripresa da altri, mentre quella di Esposito è ancora oggi quella dominante tra i costituzionalisti (avrei molti dubbi per quanto riguarda i giudici); a me pare però che in pratica alcuni spunti di Fois del 1957 siano in qualche modo riemersi nel tempo, sia pure con parole e concettualizzazioni diverse. La dimostrazione di questi tre punti di metodo emergerà nel corso della trattazione a tempo debito.

2. Vediamo ora quali sono i punti di partenza e gli sviluppi della tematica in Esposito ed in Fois. Sia perché il saggio è dedicato al pensiero di Fois, sia perché il pensiero di Esposito appare in questo caso molto più lineare e semplice, dedicherò poche osservazioni schematiche ad Esposito, ed una lunga trattazione a Fois.

Il punto di partenza di Esposito, senza qui esporre le molte e complesse considerazioni che l’autore porta a dimostrazione, si riassume nella dicotomia diritto individuale - diritto funzionale: il diritto di manifestazione del pensiero è un diritto individuale, attribuito all’individuo come tale, indipendentemente da quale uso ne intenda fare e da quale risultato essa produca nei fatti, oppure è un diritto funzionale, e cioè attribuito all’individuo se e in quanto si rivela necessario o comunque utile alla società? Esposito ritiene che ai suoi tempi fosse prevalente la seconda posizione (sostenuta secondo lui anzitutto dal costituzionalista che maggiormente stimava, e cioè Mortati); critica implacabilmente tale posizione, e pone come principio contenuto nell’art. 21 della Costituzione e come premessa fondamentale della sua trattazione la tesi secondo cui la libertà di manifestazione del pensiero è un diritto individuale, e non funzionale. Prima di passare a trarne tutte le conseguenze rispetto alle molte domande che il principio trascina con sé, Esposito correttamente si pone la questione di cosa sia il pensiero la cui tutela è l’oggetto dell’art. 21. Anzitutto ritiene che la parola comprenda qualsiasi manifestazione riconducibile all’espressione di ciò che l’uomo pensa e sente con la mente: quindi anche l’espressione mediante gesti, il disegno, la pittura, la manipolazione di cose (ad es. la scultura), il teatro, il cinema, la poesia, la letteratura, il mero parlare; in secondo luogo, facendo leva sull’aggettivo “proprio”, ciò che l’art. 21 tutela è il pensiero sinceramente creduto ed effettivamente creato da chi lo manifesta, e quindi non il pensiero soggettivamente falso (sarà la legge a stabilire se e quando è punibile il soggettivamente falso e quali sono i rimedi contro l’oggettivamente falso, salva la libertà di manifestare anche un pensiero oggettivamente falso ritenuto vero, e quindi la non punibilità della persona che si trova in questa situazione); ugualmente l’art. 21 non tutela chi manifesta come proprio un pensiero altrui che appartiene ad altri (lo spacciare per proprio un pensiero di altri, che è altra cosa dal condividere il pensiero di altri e fonderlo col proprio pensiero). Naturalmente, come accade per ogni libertà, la manifestazione del proprio pensiero comprende anche il diritto di non manifestare il proprio pensiero. Altra cosa sono i mezzi di manifestazione del pensiero: Esposito dedica alcune osservazioni sul punto, ma concentra la propria attenzione sul contenuto del pensiero, su ciò che viene manifestato, quale che sia il mezzo usato. Questa distinzione entro l’art. 21 tra contenuto del pensiero e mezzi per manifestarlo è oggi pacifica e si ritrova anche in Fois (come vedremo; vedremo anche che sul principio costituzionale in tema di mezzi di manifestazione esiste un netto contrasto tra Esposito e Fois, che emergerà negli anni successivi alla pubblicazione della monografia di Fois). Perimetrato in tal modo il pensiero la cui manifestazione viene tutelata, constatato che l’art. 21 pone come unico limite il buon costume, discusso il significato della espressione buon costume (su cui non è il caso di soffermarsi in questa sede), Esposito dal fatto che, a differenza di altre libertà, la Costituzione non prevede una riserva di legge in materia, deduce il principio per cui i limiti ulteriori applicabili alla manifestazione del pensiero sono soltanto quelli che trovano un fondamento in altre specifiche disposizioni della Costituzione. Segue poi l’analisi delle specifiche disposizioni costituzionali che giustificano limiti alla libertà di manifestazione del pensiero e l’analisi di quali sono i limiti che esse giustificano.

3. Esaminiamo ora la monografia di Fois.

È opportuno segnalare all’inizio alcuni punti di partenza che sono comuni ad Esposito ed a Fois. Fois sottolinea fin dall’inizio e costantemente che egli intende occuparsi dei principi costituzionali, e non intende svolgere una trattazione sistematica intorno alla manifestazione del pensiero. Se si riflette che Pace e Manetti, nel loro commento all’art. 21, hanno dovuto impiegare più di ottocento pagine, si conferma materialmente che sia Fois che Esposito, per quante domande e risposte a specifici problemi abbiano dato, hanno però concentrato la propria attenzione sui principi costituzionali, e non sulle molte leggi, sulle innumerevoli sentenze, sui molti casi particolari in materia. Inoltre anche Fois distingue chiaramente la parte dell’art. 21 dedicata al contenuto del pensiero dalla parte dedicata ai mezzi di manifestazione del pensiero: si concentra sul contenuto, come Esposito, e dedica alcune rapide osservazioni sui mezzi solo alla fine in un breve capitolo (mentre, come dirò, proprio sui mezzi si concentrerà l’attenzione costante di Fois negli anni successivi fino alla fine).

La costruzione di Fois è estremamente complessa, o almeno così risulta a me visto che per esporla sia pure per capi (tralasciando ovviamente le dimostrazioni) ho avuto bisogno di enucleare undici passaggi.

Fois muove anzitutto da una distinzione in due gruppi dei diritti di libertà: nel primo gruppo (che comprende ad es. gli articoli 13, 14, 15, 16 ed altri) “la tutela della personalità del singolo è … vista nella sua rilevanza individuale, o meglio «privata» e sotto un profilo principalmente «negativo» ed «inattivo»”; con il secondo gruppo (che comprende ad es. gli articoli 19, 21, 18, 17, 33, ed altri) “la personalità del singolo è tutelata nella sua manifestazione esterna, nel suo aspetto «positivo» ed «attivo», in quanto cioè tende ad istituire un dialogo tra i soggetti della comunità politica” (pp. 14-15); “Caratteristica delle libertà comprese nella seconda «serie» sembra quindi essere un’accentuata rilevanza sociale e, lato sensu, «politica»” (p. 15). Non si tratta affatto, mi pare, di una diversa formulazione della dicotomia di Esposito diritto individuale - diritto funzionale. Negli anni successivi Fois avrà occasione di pronunciarsi sul punto: affermerà sempre di essere contrario alla concezione della libertà di manifestazione del pensiero come diritto funzionale [1], e non dirà mai di aver cambiato opinione nei confronti della sua monografia. A me pare conclusione esatta: nella monografia la divisione in due gruppi di tutti i diritti di libertà, proprio perché non qualifica un diritto di libertà ma l’insieme di tutti i diritti di libertà, non sopporta che tutti i diritti del primo gruppo siano dichiarati individuali e tutti quelli del secondo funzionali, nel senso seguito da Esposito; in secondo luogo la distinzione tra i due gruppi serve a Fois non per assoggettare la libertà di manifestazione del pensiero ad un numero indefinito di limiti in nome del suo carattere funzionale, ma esattamente al contrario per individuare, come vedremo, materie privilegiate che garantiscono al massimo possibile la libertà di manifestazione del pensiero.

Arriviamo così al secondo passaggio. Secondo Fois per comprendere il significato e la portata del primo comma dell’art. 21 bisogna collegarlo con altri diritti di libertà che tutelano egualmente la libertà spirituale del singolo: “Poiché il principio della libera manifestazione del pensiero è sancito in via principale nel 1° comma dell’art. 21, qualora si voglia procedere ad un’esatta determinazione del significato e del valore di tale principio, bisogna tenere presente quali rapporti lo legano ai principi informatori delle altre norme poste a tutela della personalità spirituale del singolo” (p. 22).

Arriviamo così al terzo passaggio, che mi pare quello cruciale: prima ancora di collegare l’art. 21 con altre libertà è necessario chiarire cosa si intende con “diritto di manifestare liberamente il pensiero” (e fin qui tutti debbono convenire) ma subito dopo aggiunge: “Determinazione in via positiva [nota bene: in via positiva] del contenuto significa ricostruire il diritto di manifestare liberamente il pensiero come libero esercizio di attività positivamente identificabile; stabilire, in base ai principi che affermano la libertà, quali comportamenti (manifestazioni del pensiero) il singolo può legittimamente porre in essere. Saranno legittime – e saranno garantite come libero esercizio della libertà – quelle manifestazioni del pensiero che rientrano nell’attività definita e riconosciuta libera nella norma costituzionale” (p. 31). Qui si colloca il nodo cruciale: le affermazioni prima citate comportano che esistono manifestazioni del pensiero libere (in questo senso garantite dalla Costituzione), ma anche manifestazioni del pensiero non garantite dalla Costituzione; queste manifestazioni non garantite, una volta stabilito che quelle tutelate vanno definite in positivo (e quindi elencate in numero finito), diventano per definizione tutte le altre non ricompresse in questo elenco. Fois è perfettamente consapevole che, contro l’uso prevalente, sta definendo in positivo e non in negativo un diritto di libertà (o meglio una parte di una libertà, che qualificherà privilegiata), e dedica alcune pagine alla giustificazione di questa cruciale sua posizione di metodo. Qui si colloca la differenza fondamentale con Esposito e con tutti coloro che continuano a definire in negativo i diritti di libertà (a mio avviso anche Pace, nonostante la sua affermazione drasticamente contraria alla qualificazione dei diritti di libertà come diritti negativi; a mio avviso il contrasto con Pace si basa su un equivoco linguistico, riferendosi la sua tesi ad una questione diversa da quella trattata da chi sostiene essere negativi i diritti di libertà: ma di questo ovviamente non posso trattare qui). Chi sostiene che i diritti di libertà vanno definiti in negativo vuole semplicemente ricordare che la libertà, e cioè la possibilità di fare o non fare, è materialmente, oggettivamente, indefinita, e dunque si tratta nell’ordinamento giuridico di scegliere tra una garanzia formulata in positivo (sono garantiti soltanto i comportamenti elencati, e tutti gli altri infiniti comportamenti riconducibili ad una libertà sono vietabili dal potere) oppure una garanzia formulata in negativo (sono vietati soltanto i comportamenti elencati, e tutti gli infiniti altri restano per ciò solo liberi). Esposito, e con lui tutti gli altri che lo hanno preceduto e seguito in punto di metodo, elencano nel modo più completo possibile i limiti che in positivo sono necessari o possibili secondo Costituzione, e per ciò solo (in negativo) tutte le altre manifestazioni di pensiero sono garantite come libere dalla Costituzione. Fois invece vuole definire in positivo quali sono le libere manifestazioni del pensiero, e perciò ne garantisce alcune, e lascia le altre alla discrezione del legislatore. Cade qui a proposito una osservazione che a prima vista sfugge: Fois non intitola il suo libro “Principi costituzionali e libertà di manifestazione del pensiero” ma “Principi costituzionali e libera manifestazione del pensiero”, e cioè denuncia fin dal titolo quello che poi spiega, che vi sono libere manifestazioni del pensiero garantite direttamente dalla Costituzione e manifestazioni del pensiero non garantite direttamente in Costituzione (garantite quindi dalla legge, nella misura prevista dalle leggi). Per togliere ogni dubbio su questa mia sottolineatura cito ancora: “Perciò in ogni caso l’obiettivo da proporsi è quello della determinazione positiva del significato e del contenuto della libertà di pensiero in base alla individuazione dei principi costituzionali che la caratterizzano” (p. 35); “Tutto ciò significa che la linea di discriminazione tra esercizio della libertà di pensiero ed abuso di tale libertà non può essere precisata che in base ad un criterio di valutazione ricavata direttamente ed esclusivamente dai principi costituzionali [fin qui esiste concordanza con Esposito]. Ma proprio su tale piano si incontrano le maggiori difficoltà. La dichiarazione costituzionale che riconosce la libertà di manifestazione del pensiero, isolatamente presa, offre elementi del tutto insufficienti” [qui invece comincia una netta differenza con Esposito] (p. 37).

Come superare la insufficienza dell’art. 21 denunciata da Fois? Qui si colloca il quarto passaggio: non può essere la legge ordinaria a colmare questa lacuna; detto diversamente i limiti della libertà di manifestazione del pensiero non possono essere stabiliti con legge ordinaria, ma solo sulla base della Costituzione (cita in modo adesivo una tesi di Esposito che questo autore aveva già sostenuto prima del saggio del 1957-58; qui si vede all’opera quel meccanismo prima enunciato per cui la diversità dei punti di partenza non impedisce parziali convergenze, come avviene in questo caso).

Quinto passaggio: vi sono nella Costituzione aspetti della manifestazione del pensiero che ricevono un trattamento privilegiato: stanno negli articoli 19 (libertà religiosa) e nell’art. 33 (libertà dell’arte e della scienza); in questi casi, a testimonianza del regime privilegiato, non si applica né il limite del buon costume né quello dell’ordine pubblico (ed altri analoghi dice Fois).

Sesto passaggio: Fois, con una lunga e acuta argomentazione, sostiene che anche la manifestazione del pensiero in materia politica costituisce aspetto privilegiato, parificando in tal modo le manifestazioni di pensiero in materia politica a quelle in materia religiosa e a quelle in materia di arte e di scienza.”… anche la libertà di pensiero in materia politica deve essere considerata, sia pure in via implicita, un aspetto privilegiato della libertà di pensiero” (p. 63).

Settimo passaggio: a giustificazione di questa collocazione privilegiata per la libertà di pensiero in materia politica Fois riprende una tematica allora fortemente presente ed oggi scomparsa, quella legata alla distinzione tra società omogenee e società disomogenee, con il connesso problema di una particolare tutela delle minoranze (tema caro a Fois che ritorna anche qui, oltre che innervare tutta la monografia sulla riserva di legge).

Vi sono dunque tre materie privilegiate: quella religiosa, quella dell’arte e della scienza, quella politica. Qui si sviluppa l’ottavo passaggio. Nelle materie privilegiate vi sono soltanto due condizioni che giustificano un limite alla manifestazione privilegiata. “Limitare la libera manifestazione in materia privilegiata sarebbe ammissibile solo alla condizione che: 1° sia in questione la violazione di un bene od interesse specifico avente fondamento nella Costituzione, 2° la violazione di tale bene od interesse coincida con la violazione di un limite logico della manifestazione del pensiero. Qualora uno dei due elementi non sussista, ogni limitazione della libertà di pensiero in materia privilegiata sarebbe da ritenersi incompatibile con i principi costituzionali” (pp. 107-108).

Naturalmente a questo punto Fois deve spiegare che cosa vuol dire limite logico (è il nono passaggio in questa ricostruzione del pensiero di Fois). Mi pare che qui l’aggettivo “logico” sta per “concettuale”: si tratta, come farà anche Esposito, ma con soluzione radicalmente diversa, di definire l’espressione “manifestazione del pensiero”. Detto diversamente: qual è l’oggetto al quale si riferisce l’art. 21? Fois così risponde: la manifestazione del pensiero è un rapporto con altri; “Il rapporto deve essere «di pensiero», e cioè la manifestazione deve tendere – in via diretta – a sollecitare un’attività di pensiero negli altri individui a cui si rivolge” (p. 113). Ne viene esclusa una manifestazione di pensiero che serva di motivo e di spinta ad un’azione, purché il rapporto tra pensiero manifestato ed azione sia esplicito, diretto ed immediato (p. 113). Viene anche esclusa dalla tutela dell’art. 21 una manifestazione che tende a suscitare un “puro sentimento, uno stato puramente emozionale” (p. 114). Ecco ora la conclusione: “Nei casi di materia privilegiata basta che la manifestazione del pensiero sia tale in senso stretto perché essa debba essere considerata assolutamente legittima. E sicuramente deve essere considerata di pensiero in senso stretto quando non consista in un incitamento diretta ed immediato all’azione” (p. 114).

Siamo al decimo passaggio. Anche in materia privilegiata, se la manifestazione non è di pensiero in senso stretto (come definito nel nono passaggio), vi sono due limiti (p. 115): sono punibili o comunque vietabili le manifestazioni che si risolvono in eccitamento contrario al buon costume (come vuole lo stesso art. 21) e quelle che si risolvono in eccitamento che offende l’onorabilità altrui (violando la pari dignità tutelata dall’art. 3 della Costituzione).

Arriviamo così all’undicesimo ed ultimo passaggio: una volta stabiliti i principi costituzionali per quanto riguarda le materie privilegiate, resta da chiarire che cosa la Costituzione impone o permette a proposito della manifestazione di pensiero nelle materie non privilegiate (e cioè tutte le altre meno quelle privilegiate) (pp. 119-120). “Per la libertà di pensiero generica non sussistono quelle ragioni di carattere sostanziale” che l’autore ha sviluppato in tutte le pagine precedenti, ragioni “che escludono ogni discrezionalità in sede legislativa ed amministrativa per quanto riguarda la posizione e l’applicazione dei limiti – ed ammettono solo limiti puramente logici – nei confronti della libera espressione del pensiero in materie privilegiate.”

“In mancanza di tali ragioni pare quindi che – per ciò che riguarda la libertà di pensiero generica – si debba ammettere una certa quale discrezionalità del legislatore ordinario nello stabilire e precisarne i limiti, anche limiti di natura tale che possano essere applicati discrezionalmente dall’interprete in sede giurisdizionale od amministrativa. Il legislatore ordinario può perciò prevedere, in aggiunta al limite del buon costume esplicitamente previsto dalla norma costituzionale, limiti quali quello dell’ordine pubblico od altri analoghi”.

La conclusione di questo punto (p. 120) merita di essere riportata. “La rilevanza della distinzione tra manifestazione del pensiero in materia privilegiata e libertà di pensiero generica (e la conseguente diversa soluzione del problema dei limiti) è particolarmente evidente e rivela la sua utilità, ad esempio, per quanto riguarda il problema della libertà di cronaca” (che sarà oggetto di specifica trattazione in un capitolo specifico e successivo da parte di Fois).

Seguono da questo punto alcuni capitoli che esaminano alcuni limiti alla luce dei principi costituzionali fin qui enunciati (limite del buon costume; il limite dell’’«ordine pubblico»; il limite della «onorabilità altrui»; la libertà di cronaca; i limiti della libertà di cronaca; alcuni limiti eccezionali): parte che possiamo tralasciare appunto perché si tratta di applicazione dei principi e non più di ricostruzione dei principi in quanto tali.

4. Prima di trattare degli scritti successivi alla monografia sulla libera manifestazione del pensiero, due osservazioni a mò di conclusione su questo punto. Anche a voler rimanere entro la costruzione di Fois senza rigettarla, l’ultimo passaggio appare debole, perché Fois non sa dire se e quali limiti comunque il legislatore incontra anche quando disciplina la manifestazione del pensiero in materie non privilegiate, e in tal modo, di fatto, per quanto riguarda le materie non privilegiate, reintroduce quello che all’inizio aveva escluso, e cioè la mera riserva di legge rispetto alla libertà di manifestazione del pensiero, con la conseguenza che con la costruzione di Fois la Costituzione, come avveniva con lo Statuto albertino, demanda alla legge la tutela della libertà di manifestazione del pensiero in materie non privilegiate, con una riserva per di più che anche a considerarla assoluta non è però rinforzata (come avviene invece ad es. con l’art. 13). Penso che questa sia la ragione principale per cui la costruzione di Fois non ha avuto successo, e non è stata ripresa né dai costituzionalisti né dai giudici.

Nello stesso tempo la costruzione di Fois, per quanto in ipotesi difettosa (almeno sul punto ora ricordato, e quindi in realtà difettosa per quanto riguarda il perno della sua trattazione e cioè la distinzione tra materie privilegiate e materie non privilegiate), segnala un problema e una difficoltà, non rilevata a mio parere dalla costruzione di Esposito e di quanti lo hanno ripreso, problema e difficoltà che però la pratica si è incaricata di far emergere. Questo problema e questa difficoltà è emersa con violenza a proposito della libertà di cronaca, alla quale non per caso e con preveggenza ha dedicato molta attenzione Fois, sia nella monografia che successivamente. Non è vero che in pratica (e quindi anche in diritto) vi sia una sola uniforme applicazione dell’art. 21 della Costituzione a tutte le manifestazioni del pensiero. È necessario distinguere, non solo sul piano descrittivo ma anzitutto sul piano normativo, tra cronaca e altre manifestazioni del pensiero: i limiti al diritto di cronaca sono diversi dai limiti applicabili a proposito di altre manifestazioni. Messi su questa strada diventa plausibile chiedersi se vi siano altre forme di manifestazione del pensiero che esigono limiti più ampi o meno ampi di quelli che in generale si applicano alle manifestazioni del pensiero (ad es. in tema di satira), e diventa essenziale individuare quali sono i principi costituzionali che giustificano queste diversificazioni. Mi pare in conclusione che la distinzione tra materie privilegiate e materie non privilegiate come costruita da Fois non abbia retto alla prova della esperienza, ma che la sua esigenza di distinguere forme di manifestazione del pensiero giuridicamente diverse per quanto riguarda i limiti ad esse apponibili si sia dimostrata corretta.

5. Per gli scritti successivi di Fois mi sono avvalso di due raccolte, ambedue rispondenti a scelte dell’autore, come si evince in un caso dalla presentazione di Vignudelli e nell’altro dalle informazioni contenute nel risvolto di copertina. La prima raccolta in ordine di tempo riguarda proprio la libertà di manifestazione del pensiero, è stata pubblicata nel 1991 a cura di Aljs Vignudelli, e si intitola La libertà di «informazione» - Scritti sulla libertà di pensiero e la sua diffusione; la seconda si intitola La crisi della legalità, con commossa e commovente presentazione di Giuseppe Guarino, ed è stata edita postuma nel 2010.

Nella prima raccolta, che porta la indicazione di I e nella prefazione preannuncia un secondo volume che non è stato pubblicato, su 17 scritti nove riguardano il tema dei mezzi di manifestazione del pensiero, e di questi nove sette riguardano la televisione, a testimonianza di quanto avevo già anticipato e cioè del prevalere anche in Fois (come mi pare in tutti i giuristi interessati al tema) della questione dei mezzi piuttosto che del contenuto, e tra i mezzi del prevalere della televisione rispetto a qualunque altro mezzo (forse oggi sta prevalendo l’attenzione per internet). Nella seconda raccolta, che possiamo considerare una sorta di testamento scientifico di Fois, prevale nettamente il tema della legalità, e il tema della libertà di pensiero diventa secondario: su 17 scritti soltanto due ritornano sul tema: il primo è la ristampa di uno già pubblicato nell’altra raccolta (intitolato Il c.d. decalogo dei giornalisti e l’art. 21 della Costituzione); il secondo si intitola Informazione e diritto costituzionale, e venne pubblicato nel 2000, tra gli ultimi scritti di Fois (che dal 2002 sembra non aver scritto più nulla di diritto, mentre ha scritto libri di poesia, come informa Guarino).

Tratterò prima dei due scritti sulla libertà di manifestazione del pensiero compresi nella seconda raccolta e poi degli scritti sulla televisione compresi nella prima raccolta. La ragione di questa inversione sta nel fatto che i due scritti della seconda raccolta riguardano il contenuto di pensiero tutelato dalla Costituzione, e quindi consentono di aggiungere qualcosa al Fois della monografia, e in qualche modo di concludere il punto, permettendo così di concentrare l’attenzione sulla televisione, ed in generale sui mezzi di manifestazione, come tema unitario che caratterizza la prima raccolta (tralasciando di necessità altri scritti ed altri temi pur interessanti e meritevoli di attenzione).

6. Il saggio Il c.d. decalogo dei giornalisti e l’art. 21 della Costituzione, pubblicato nel 1985 nella rivista Il diritto dell’informazione e dell’informatica, è come dice il titolo una serrata critica delle famose sentenze della Corte di Cassazione sia civile che penale (con qualche differenza tra loro) mediante le quali la Cassazione enunciava analiticamente (come un legislatore) i limiti del diritto di cronaca. Fois fa notare anzitutto che a rigore non è un decalogo, perché sette delle regole non sono che specificazione analitica di un solo principio; la Cassazione in realtà enuncia tre principi: il diritto di cronaca è legittimo se ricorrono “tre condizioni: 1) utilità sociale dell’informazione; 2) verità … dei fatti esposti, da intendere in senso sostanzialmente oggettivo; 3) forma civile della esposizione dei fatti e della loro valutazione”. Fois critica implacabilmente tutti e tre questi principi enunciati dalla Cassazione. Però mentre per il secondo e il terzo non c’è alternativa, per il primo (l’utilità sociale) Fois elabora un principio diverso che comunque giustifica un allargamento del diritto di cronaca, e cioè il principio della rilevanza sociale (cosa diversa come spiega analiticamente Fois dalla utilità sociale), che costituisce ragione della applicazione dell’esimente prevista dall’art. 51 del c.p.. Qui c’è anche un fuggevole accenno alla materia privilegiata di cui aveva parlato a suo tempo (senza ricordare espressamente la monografia del 1957). Ne traggo due conseguenze: Fois non rinnega propriamente la costruzione delle materie privilegiate, e trova che nel diritto di cronaca, e nella specifica disciplina che comunque lo caratterizza, si trova qualcosa di comparabile alle antiche materie privilegiate; nonostante tutto esiste un diritto di cronaca che riceve un trattamento giuridico diverso da altre manifestazioni di pensiero, quando sussiste la rilevanza sociale. Importante poi mi pare quanto dice a p. 549 (sto citando dalla seconda raccolta): “limiti che non possono essere che negativi”; se si ricorda quanto ho ricostruito a proposito della monografia del 1957, qui c’è la testimonianza espressa di un mutamento di opinione di Fois: la libertà di manifestazione del pensiero, come tutte le altre libertà, va ricostruita in negativo e non in positivo (contro quanto invece aveva sostenuto nella monografia del 1957 a proposito della manifestazione del pensiero in materie privilegiate).

Lo scritto del 2000 Informazione e diritti costituzionali è una specie di riassunto delle sue fondamentali posizioni in tema di libertà e di libertà di pensiero in particolare. Colpisce anzitutto la rimeditazione di cosa vuol dire pensiero e l’allargamento della tutela che ne deriva rispetto al 1957. Pensiero dice questa volta Fois (p. 694) è “tutto ciò che origina e/o consegue nella sfera psichica di un dato soggetto, e per volontà del soggetto stesso” (definizione che mi pare particolarmente felice e bella anche linguisticamente). Un lunga parte, riprendendo apertamente il pensiero del filosofo Popper, viene dedicata alla dimostrazione della inconsistenza della distinzione tra fatto e opinione, ed alla critica della pretesa impossibile che venga manifestata la verità oggettiva e quindi diventi punibile chi manifesta qualcosa di oggettivamente falso (diverso è il caso ovviamente di chi sia consapevole di manifestare il falso). La conseguenza giuridica che Fois ne trae, ma era tesi presente da sempre, è che rientra nella tutela costituzionale anche l’apologia e la propaganda, e che ogni informazione è per definizione tendenziosa (con conseguente illegittimità costituzionale dell’art. 656 del c.p. per questa parte). Infine, come suggello del pensiero di Fois sul tema della libertà di pensiero e della libertà in generale, mi pare molto bella e significativa l’affermazione di p. 705: “… mi sembra possa dirsi che la vera essenza della libertà stia nel dubbio.”

7. La raccolta di scritti di Fois a cura di Aljs Vignudelli, pubblicata da Maggioli nel 1991, si intitola La libertà di «informazione» e porta il sottotitolo Scritti sulla libertà di pensiero e la suadiffusione. Mi soffermo su titolo e sottotitolo perché da essi si ricava immediatamente che la tematica che collega i 17 scritti raccolti riguarda la informazione come componente interna e fondamentale della libertà di pensiero e riguarda i mezzi di diffusione della informazione, e cioè in pratica anzitutto e soprattutto la radiotelevisione a cui non per caso sono dedicati la maggioranza degli scritti raccolti. Ho ristretto, come preannunciato, la trattazione alla radiotelevisione, e tra gli scritti in materia ne ho selezionati cinque, che vanno dal 1960 all’ultimo (pubblicato in ambedue le raccolte) che è del 1989, e che scandiscono i momenti cruciali vissuti da Fois e da tutti noi a ridosso delle sentenze della Corte costituzionale.

Prima però di entrare nel merito di questi cinque saggi, e del filo conduttore che li rende parti di un disco unitario e continuo, mi pare opportuno ricordare che Fois, sempre, anche quando esamina una questione molto circoscritta, collega tale questione al sistema e si pone costantemente il problema di legare in modo esplicito e coerente la soluzione dello specifico problema a tutto il resto del sistema. Abbiamo già visto all’opera questo metodo nella monografia sulla libera manifestazione del pensiero che non per caso comincia con una classificazione di tutte le libertà costituzionali in due gruppi e la collocazione dell’art. 21 in uno dei due gruppi. Non sarà possibile esaminare analiticamente questo aspetto: qui basti ricordare che Fois ogni volta che esamina il tema della radiotelevisione si preoccupa delle premesse e conseguenze di ogni sua presa di posizione anche in riferimento ad altri principi costituzionali (ad es. in riferimento non solo come ovvio agli articoli 41 e 43, ma anche per es. al diritto di sciopero e alla libertà di organizzazione sindacale).

Il primo saggio esaminato, che è anche il primo della raccolta, si intitola Libertà di diffusione del pensiero e monopolio radiotelevisivo, pubblicato nel 1960 nella rivista Giurisprudenza costituzionale. È un lunghissimo commento (57 pagine della raccolta!) alla famosa prima sentenza della Corte costituzionale in materia, ed è una denuncia accurata della sua imprecisione ed equivocità. Questo sarà un motivo conduttore di tutti gli altri scritti, senza bisogno di ripetere la osservazione. Il punto di partenza essenziale di Fois sta nella sua tesi, apertamente contro Esposito, e già enunciata nella sua voce Censura nell’ Enciclopedia del diritto, secondo cui l’art. 21 tutela anche la libertà dei mezzi di diffusione del pensiero, cosicché il legislatore ordinario deve attenersi a quanto esplicitamente o implicitamente la Costituzione stabilisce in materia. “… la garanzia della libertà di utilizzazione consiste nel fatto che essa possa essere limitata nei soli casi e modi previsti dalla Costituzione” (p. 17). Questa tesi percorre e governa tutti gli scritti della raccolta, dall’inizio alla fine. Viene riferita all’art. 21, e non anche all’art. 15, con una netta distinzione tra i due articoli anche per quanto riguarda i mezzi (e quindi la questione del monopolio pubblico). Fois si pone poi il problema dei mezzi che indirettamente permettono o possono limitare la libertà di diffusione, quali ad es. le imprese giornalistiche e le tipografie, e conclude (p. 27) che in base alla sua dimostrazione “sembra si possa dire che la garanzia di utilizzazione dei mezzi di diffusione del pensiero si estende (anche se più oltre si cercherà di precisare in che senso e fino a che punto) alle attività che rappresentano strumenti organizzativi e tecnici adatti alla piena realizzazione di tale libertà”. Si noti quanto già sottolineato: qui Fois sta parlando in generale di tutti i mezzi, prima di arrivare allo specifico mezzo della radiodiffusione, come del pari risponde al medesimo canone il confronto con le confessioni religiose e le scuole, la cui libertà comprende analogamente anche i mezzi che permettono l’esercizio di tali libertà (pp. 28 e 29). Passa poi ad esaminare il rapporto tra libertà di manifestazione del pensiero ed attività economica e conclude affermando che (p. 34)“ Il valore dei principi costituzionali relativi alle varie situazioni soggettive va gerarchizzato, e quello dei principi costituzionali relativi alla libera manifestazione e diffusione del pensiero si situa indubbiamente su un piano superiore a quello dei principi riguardanti l’attività economica: cosicché l’applicazione dei secondi alle attività in questione incontra un limite specifico e rigido nella garanzia derivante dai primi”. In altre parole non si possono invocare glia articoli 41 e 43 per limitare l’utilizzazione dei mezzi, se questa utilizzazione riguarda la diffusione del pensiero, e quindi la limitazione della attività economica prevista in astratto dalla Costituzione deve arrestarsi quando limita incostituzionalmente i mezzi di diffusione del pensiero. Segue poi una accurata e acuta analisi della nozione di servizio pubblico e la conclusione che le imprese private di radiodiffusione non potrebbero essere considerate servizio pubblico. Su questa base la prima conclusione (p. 50) è che il monopolio delle radiodiffusioni circolari come riserva originaria (con conseguente esclusione totale della iniziativa privata) è incostituzionale (anticipa in tal modo le sentenze 225 e 226 del 1974); sono invece ammissibili trasferimenti di imprese se ricorrono i requisiti previsti dall’art. 43 Cost. (che quindi non determinano una riserva totale allo Stato), è ammissibile una legge antitrust per limitare posizioni private dominanti, ma è anche possibile separare la proprietà e gestione di impianti tecnici di radiodiffusione rispetto alla attività di programmazione e diffusione di programmi radiotelevisivi, con il connesso diritto di utilizzo di tali impianti da parte delle imprese di predisposizione e diffusione di programmi televisivi (ipotizzando un modello che allora fu proposto ed agitato ma non ha avuto alcun seguito nella legislazione e tra le forze politiche).

Questa ultima possibilità viene di nuovo discussa al termine dell’articolo La natura dell’attività radiotelevisiva alla luce della Giurisprudenza costituzionale,pubblicato nel 1977 in Giurisprudenza costituzionale. Lo scritto commenta soprattutto la sentenza n. 202 del 1976 e viene dopo naturalmente le fondamentali sentenze n. 225 e 226 del 1974, che hanno dato inizio al lungo e contorto cammino che ha portato alla fine del monopolio pubblico. L’interesse principale dello scritto sta da un lato nella critica alla tesi che dominava allora e prevale ancora oggi secondo cui la radiotelevisione è un servizio pubblico per sua natura, e dall’altro nella affermazione che, se il monopolio della radiotelevisione nazionale via etere (e solo di questa alla luce delle sentenze della Corte) si giustifica esclusivamente con la limitatezza dei canali disponibili, allora questa specifica attività deve essere esercitata come servizio pubblico, con tutte le conseguenze che ne discendono. “Se l’attività di radiodiffusione circolare su scala azionale implica una situazione di monopolio o oligopolio, poiché di conseguenza tale attività non potrebbe comunque essere riferibile a «tutti» (ex art. 21) come diritto individuale, l’attività stessa può essere «riservata» dalla legge perché (e purché) sia esercitata (o fatta esercitare, mediante apposita concessione) come servizio pubblico: perché (e purché) dunque, sia esercitata (o fatta esercitare) sotto il potere di «direzione e controllo» pubblico”. Non sembra questa a Fois la soluzione migliore. Fermo restando che dove non c’è limitatezza (ad es. per la televisione via cavo) non è ammissibile il monopolio legale, anche nel caso della limitatezza Fois suggerisce la soluzione già avanzata nel 1960 (sic!) e già ricordata, secondo cui si dovrebbe separare la predisposizione e gestione tecnica degli impianti di radiodiffusione dalla predisposizione e gestione libera dei programmi televisivi.

Volutamente di teoria generale è il saggio del 1979, pubblicato ne Il diritto delle radiodiffusioni e delle telecomunicazioni, e intitolato Presupposti e modelli per una disciplina dell’attività radiotelevisiva.Nel titolo figura anche la informazione che si tratta di una parte prima, ma non mi risulta che sia stata pubblicata la parte seconda alla quale pure l’autore si impegna. Si tratta di una accurata disamina della categoria di servizio pubblico, condotta ispirandosi alle teorizzazioni di Massimo Severo Giannini. Il senso principale del saggio, una volta chiarito che cosa vuol dire servizio pubblico, mi pare che stia nella constatazione che il sevizio pubblico non può essere esercizio di libertà, ma di potere sotto direzione e controllo pubblico.

Il quarto saggio si intitola Rai-Tv, «Governo» del monopolio pubblico o «governo» di un servizio pubblico? in AAVV. Il servizio pubblico televisivo, Napoli 1983, nel quale, come anticipa il titolo, vi sono due tesi fondamentali: a) il monopolio pubblico non ha fondamento costituzionale (p. 272); b) può esserci [quindi non è obbligatorio che ci sia] un servizio televisivo pubblico (p. 283).

Il quinto saggio che esamino qui, e che conclude questa parte della mia relazione, è del 1989, si intitola Profili costituzionali e disciplina radiotelevisiva, è la rielaborazione di una relazione ad un convegno, venne pubblicata nella rivista Giurisprudenza costituzionale.

È la ripresa sistematica e completa di tutti i temi e le questioni affrontate negli anni, ma anche una radicalizzazione delle tesi di Fois a favore della libertà dei mezzi di diffusione del pensiero anche in materia di radiotelevisione nazionale via etere, contro il monopolio statale. Qui per necessità mi limito a riportare alcune delle conclusioni. Anzitutto il giudizio sulla Corte costituzionale (p. 419): “Da quanto ho detto, e che potrebbe essere ulteriormente approfondito, documentato e motivato, emerge che la giurisprudenza della Corte riguardo alla giustificazione della riserva statale, è quanto meno incerta, oscillante, se non addirittura contraddittoria”. Poi le conclusioni in positivo su quali sono secondo Fois i principi costituzionali in materia, dopo aver lungamente criticato sia le diverse posizioni della Corte sia quelle allora prevalenti in dottrina.”La prima conclusione è che, in relazione al «bene etere», può affermarsi la configurabilità di un vero e proprio diritto soggettivo. Ciò che conta, infatti, non è una disponibilità «illimitata» di tale bene ma, come anche la Corte ha ammesso, una disponibilità «sufficiente»” (p. 430). In tal modo viene meno (come già sostenuto nel saggio del 1983 prima citato) anche l’unico caso di monopolio statale ammesso dopo il 1974. Questa conclusione diventa ancora più fondata se si riconosce, come fa Fois, e come già allora stava diventando evidente, che la limitatezza dei canali (unico motivo che fino ad allora secondo Fois ed alcune, ma non tutte le sentenze della Corte, giustificava il monopolio della radiodiffusione nazionale via etere) stava per essere superata mediante lo sviluppo tecnologico da mezzi e modalità di diffusione che toglievano questa limitatezza. “La seconda affermazione conclusiva è che i diritti (di informazione e di iniziativa economica) in materia radiotelevisiva sono sicuramente individuali «diritti di libertà»; quello di informazione, inoltre, è sicuramente «individuale» nel senso tecnico costituzionale del termine” (p. 432). Ne consegue che “la natura del diritto in questione quale «diritto di libertà» è intrinsecamente e radicalmente incompatibile con quella di «servizio pubblico» che venga attribuita alla corrispondente attività: anche questo ho più volte sottolineato e dimostrato” (p. 432). Mi pare sarebbe un errore leggere queste affermazioni come una giustificazione di oligopoli privati o posizioni private dominanti in materia radiotelevisiva. Fois ha sempre ribadito che è legittima una legge antitrust in materia: quello che anche in questo ultimo scritto egli sostiene è che il diritto all’utilizzazione dei mezzi costituzionalmente garantito non può essere subordinato alla esistenza di una legge antitrust (e quindi non venire tutelato come diritto individuale se il legislatore pigro non ha emanato una legge antitrust). Il legislatore con la sua inerzia non può impedire o limitare l’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito (come infatti si è giustamente concluso in tema di diritto di sciopero e di libertà di organizzazione sindacale, due diritti costituzionali immediatamente operativi, anche in assenza di leggi in materia). Quale poi sarebbe stato o è stato il giudizio di Fois sull’attuale duopolio (che in pratica oggi è un monopolio di un solo privato) non posso dire: penso però che, formulato da un deciso difensore della libertà di tutti come Fois, sarebbe dovuto essere o è stato un giudizio drasticamente negativo.
Giuseppe Ugo Rescigno
[1] Cito per tutte la seguente affermazione: “…la libertà di manifestazione del pensiero, nella nostra Costituzione, non può mai, e sotto nessun profilo, essere considerata come un diritto funzionale” (in Questioni sul fondamento costituzionale del diritto alla «identità» personale in AAVV, L’informazione e i diritti della persona, a cura di Alpa, Bessone, Boneschi, Chiazza, Napoli 1983, ripubblicato nella raccolta citata nel testo La libertà di informazione, p. 257).