Federico Sorrentino
LA CONCEZIONE DELLA RISERVA DI LEGGE IN SERGIO FOIS
Rileggendo la Riserva di legge di Sergio Fois
1. La riserva di legge è indubbiamente un tema strategico per gli studiosi del diritto costituzionale: esso coinvolge innanzitutto la storia delle istituzioni, quella delle forme di governo, la teoria delle fonti ed i diritti di libertà.
Il libro di S. Fois, pubblicato nel lontano 1963 in forma provvisoria, ma largamente circolato tra i costituzionalisti, ha avuto il merito di portare alla loro attenzione, non già, come scriveva l’A., un “fossile giuridico”, ma sicuramente un tema, all’epoca circoscritto alla sempre problematica, ma tutto sommato secondaria distinzione tra riserva assoluta e riserva relativa, che già la giurisprudenza della Corte (concernente soprattutto le riserve di cui agli artt. 23, 25 e 41 della Costituzione) aveva in qualche modo fatto emergere. Esso ebbe dunque il merito di richiamare l’attenzione degli studiosi su tutta la complessa problematica che involge la riserva di legge, mostrandone la centralità nello studio delle costituzioni contemporanee.
Il saggio di Fois muove, com’è noto, dalla ricostruzione storica, a partire dall’esperienza della monarchia costituzionale tedesca, delle forme di governo del continente europeo allo scopo d’indagare quale fosse in origine e come si sia in seguito trasformato l’istituto della riserva di legge. Questa è intesa fondamentalmente come una clausola di riserva di competenza a favore del legislativo che nelle diverse esperienze storiche, da un lato, interferisce sino a confondersi con il principio di legalità e, dall’altro, proprio in quanto norma sulla competenza, è volta a garantire la stabilità dei rapporti tra legislativo ed esecutivo.
In particolare nella monarchia costituzionale tedesca, basata su un rigido dualismo tra il Sovrano ed il Parlamento con evidente prevalenza del primo, non essendo ancora operante il principio della sovranità popolare, la riserva di legge si atteggia come una clausola generale che assegna al Parlamento la disciplina degli interventi sulla libertà e sulla proprietà dei singoli. Essa costituisce dunque un limite estrinseco del potere dell’esecutivo, per il quale la legge non è il fondamento ma il limite della sua attività. Tenuto conto che nell’ambito di questa forma di governo residuano al monarca numerosi poteri normativi primari (inerenti, ad esempio, ai rapporti di soggezione speciale e alle ordinanze di urgenza, insieme con le autorizzazioni precostituzionali o derivanti da norme consuetudinarie), la conclusione di Fois è che la riserva di legge garantisce, nella monarchia costituzionale, l’esecutivo contro le ingerenze del potere legislativo.
Così configurata, la riserva di legge finisce col sovrapporsi al principio di legalità formale e a presentarsi come semplice conseguenza della supremazia della legge sugli atti amministrativi, ma essa non rappresenta per Fois, contrariamente alle opinioni correnti, garanzia dei diritti individuali, a causa dell’assenza in siffatte forme di governo di limiti sostanziali (intrinseci) alla legge.
2. Nelle democrazie parlamentari la riserva di legge, sempre intesa come riserva generale per tutto ciò che attiene alle limitazioni della libertà e della proprietà, coincide del tutto con il principio di legalità. Si afferma in questa esperienza la necessità dell’Ermächtigung legislativa e sebbene si riconoscano i diritti individuali e la loro azionabilità, la mancanza di limiti al potere legislativo impedisce che la presenza della legge possa funzionare da garanzia di tali diritti.
Poiché in dette forme di governo la preminenza della legge è assoluta e incondizionata, la riserva di legge non vale più come limite per il legislativo, ma ne rafforza il potere nei confronti dell’esecutivo.
Questa conseguenza non discende, secondo Fois, dal carattere flessibile delle costituzioni riconducibili alle democrazie parlamentari classiche che, in quanto tali non pongono limiti cogenti al legislatore, con la conseguenza che la riserva di legge non impedisce il trasferimento all’esecutivo dei poteri riservati al Parlamento, ma deriva semplicemente dalla concezione della riserva di legge come espressione della supremazia del Parlamento.
3. La prospettiva muta radicalmente con l’avvento delle costituzioni rigide e garantite dal secondo dopoguerra, che superano il mito dell’onnipotenza del legislatore, sottoponendone l’attività a limiti estrinseci (Francia, V Repubblica, con la creazione di una riserva di regolamento) ed intrinseci (Germania federale e Italia).
In conseguenza di questi ultimi limiti si afferma il divieto per il legislatore – di fronte alla riserva di legge – di trasferire in bianco i propri poteri al Governo.
Fois nega che nel nostro ordinamento operi un principio di legalità sostanziale, respinge la tesi di Crisafulli che ne ravvisa il contenuto nella necessità di uno stacco tra il disporre e il provvedere e nega conseguentemente che il principio di legalità sostanziale possa assorbire la riserva di legge.
Nemmeno nelle esperienze contemporanea Fois vede nell’istituto della riserva di legge una garanzia dei diritti individuali, in quanto ritiene che il fatto che essi siano sottoposti a disciplina legislativa non interessi la loro protezione.
Individua alla fine la ratio della riserva nel trattamento giuridico della legge e cioè nella dialettica parlamentare tra maggioranza e opposizione e quindi nel controllo di costituzionalità cui le leggi sono sottoposte.
Allora il significato della riserva di legge si caratterizza per la possibilità che le opposizioni partecipino alla elaborazione degli atti legislativi e perché nei confronti di tali atti è attivabile il sindacato di legittimità costituzionale, affidato nel nostro ordinamento alla Corte costituzionale. Sicché la ratio della riserva consiste in queste forme di governo nella difesa della Costituzione.
Corollario di questa tesi è quello che anche le leggi regionali, rispondendo a tale logica, soddisfano la riserva di legge, mentre estranei ad essa sono altre forme di riserva di competenza, come quelle relative ai regolamenti parlamentari, all’autonomia collettiva e ai regolamenti locali, che invece rispondono ad esigenze diverse.
Infine, quanto alla distinzione tra riserve assolute e riserve relative, la soluzione che ne dà l’A. è del tutto coerente con l’idea della riserva come norma sulla competenza: la riserve sono tutte, in via di principio, assolute, salvo che esse alla luce della Costituzione e degli interessi costituzionali in gioco, non si presentino come relative; salvo, cioè, che la Costituzione non esiga che il legislatore dia una disciplina completa della materia riservata, ma consenta ovvero richieda l’intervento di altre fonti. Emerge così, senza peraltro essere letteralmente esplicitata, la distinzione, di cui s’impossesserà la dottrina successiva, tra l’aspetto negativo della riserva, che si ritrova anche nelle precedenti esperienze costituzionali, e quello positivo, caratteristico delle costituzioni rigide del secondo dopoguerra, che impone al legislatore la disciplina degli oggetti riservati, inibendogli al contempo di devolverla all’esecutivo.
4. Sono trascorsi ormai quasi cinquant’anni dalla pubblicazione del saggio di Fois ed è quindi necessario interrogarsi oggi su ciò che è valido ancora e ciò che invece è caduco nella sua ricostruzione della riserva di legge.
È sicuramente valido il metodo storico-comparativo per lo studio di un istituto che affonda le sue radici nella storia del costituzionalismo europeo e della rappresentanza politica; sicché la ricerca del significato attuale della riserva di legge non poteva prescindere dallo studio delle esigenze che sin dall’origine essa doveva soddisfare e dai modi in cui essa è stata configurata.
Altrettanto validi sono ancora i risultati dell’indagine svolta sulla base di tale metodo, che pone in luce come la riserva di legge sia un elemento qualificante delle forme di governo. Il dualismo che caratterizza, in particolare, le monarchie costituzionali è lucidamente espresso nella riserva di legge.
Piuttosto, proprio con riferimento a tali esperienze, a me pare che la riserva non sia, come ritiene Fois, un istiututo di garanzia per il Sovrano contro il rischio di prevaricazioni parlamentari nei confronti della “prerogativa regia”, ma all’opposto rappresenti – considerata la monarchia costituzionale una sorta di ponte tra lo Stato assoluto e il regime parlamentare – una tappa costituzionalmente fissata nel percorso che vede i Parlamenti divenire titolari della pienezza del potere legislativo. Essa quindi garantiva contro la tendenza, sempre presente nelle monarchie costituzionali del secolo XIX e dell’inizio del XX, ad un recupero dei poteri originariamente spettanti al Sovrano assoluto.
Ritengo ancora che possa considerarsi superata l’idea, che percorre tutta l’indagine, del principio di legalità come legalità formale e mi pare che non sia stato colto e approfondito lo spunto anticipatore di Crisafulli (nella sua nota alla sent. n. 13/1961 della Corte) verso una configurazione, anche in base all’art. 97 Cost., del giusto procedimento.
Oggi, anche grazie agli sviluppi indotti dalla legge n. 241/1990 e ad una significativa giurisprudenza costituzionale, è difficile disconoscere che nella Costituzione italiana il principio di legalità dell’azione amministrativa abbia valore sostanziale e che l’idea crisafulliana dello stacco tra il disporre e il provvedere, tra la legge che fissa i criteri dell’azione amministrativa autorizzando l’esecutivo a disporre dei diritti individuali e il provvedimento che, sulla base ed in conformità di quei criteri, determina la compressione dei diritti, sia pienamente realizzata.
Probabilmente l’aver trascurato questo aspetto del principio di legalità è alla base della svalutazione, presente nel libro, della riserva di legge come momento di garanzia dei diritti. Invero la circostanza che sia la legge a tracciare gli ambiti dell’attività amministrativa garantisce non solo la legalità (sostanziale) della stessa, ma anche la certezza del diritto e l’eguaglianza nella sua applicazione, se si riflette che la discrezionalità attribuita all’amministrazione è essa stessa sindacabile dal giudice amministrativo, non solo in rapporto alle specifiche previsioni della legge, ma anche sotto il profilo dell’eccesso di potere in tutte le sue forme e figure sintomatiche ed anche dei principi generali del diritto.
5. Ma il frutto più maturo ed ancora apprezzabile dell’indagine di Fois è la configurazione della riserva in termini di competenza, cui si congiunge la riflessione che la sua ratio si ricollega al regime stesso della legge, sia nella dialettica maggioranza/opposizioni, sia quanto a controllo di costituzionalità dell’atto legislativo.
Questa conclusione apre la strada ad alcuni interrogativi su temi sui quali Sergio Fois ritornerà più avanti, quello dell’idoneità degli atti del Governo con forza di legge a soddisfare la riserva e quello del ruolo dei regolamenti comunitari.
Entrambi questi interrogativi riceveranno dalla Corte risposta affermativa e metteranno in discussione la linearità della costruzione di Fois (che, non senza un certo imbarazzo, qualche anno più tardi prenderà atto della possibilità che nella materia riservata intervengono decreti-legge e decreti legislativi), ma, a ben vedere, la sua costruzione ne esce rafforzata.
Infatti, se è pur vero che l’intervento degli atti con forza di legge nelle materie riservate attenua il valore democratico-parlamentare della riserva, è anche vero che il momento parlamentare di confronto maggioranza/opposizioni viene comunque spostato, nei decreti-legge, alla fase della conversione e, nei decreti legislativi, alla fase della delegazione e dei pareri parlamentari che accompagnano la formazione dei decreti delegati; fermo comunque il controllo della Corte costituzionale.
Quanto ai regolamenti comunitari, la stessa sent. n. 183/1973 della Corte, che ne affermò l’idoneità ad intervenire nelle materie riservate (nella specie, nella disciplina delle prestazioni patrimoniali imposte di cui all’art. 23 Cost.), conferma la validità dell’impianto dell’analisi di Fois sulla riserva di legge come norma sulla competenza. Infatti, una volta costruito – come fece la Corte nel 1973 – il rapporto tra ordinamento interno e ordinamento comunitario in termini di separazione di competenze normative in forza dell’art. 11 della Costituzione, ne discende in modo rettilineo la conclusione che, nelle materie trasferite alle Istituzioni europee, la riserva di legge si trasforma in una riserva di atto normativo comunitario, a meno che non vengano in rilievo i principi supremi della Costituzione e i diritti inalienabili della persona umana.
Ricordo che Fois, con il quale ebbi a discutere di tali temi, non apprezzava affatto giurisprudenza della Corte in materia, ma essa era proprio il risultato delle sue profonde intuizioni consegnate al saggio del 1963.
1. La riserva di legge è indubbiamente un tema strategico per gli studiosi del diritto costituzionale: esso coinvolge innanzitutto la storia delle istituzioni, quella delle forme di governo, la teoria delle fonti ed i diritti di libertà.
Il libro di S. Fois, pubblicato nel lontano 1963 in forma provvisoria, ma largamente circolato tra i costituzionalisti, ha avuto il merito di portare alla loro attenzione, non già, come scriveva l’A., un “fossile giuridico”, ma sicuramente un tema, all’epoca circoscritto alla sempre problematica, ma tutto sommato secondaria distinzione tra riserva assoluta e riserva relativa, che già la giurisprudenza della Corte (concernente soprattutto le riserve di cui agli artt. 23, 25 e 41 della Costituzione) aveva in qualche modo fatto emergere. Esso ebbe dunque il merito di richiamare l’attenzione degli studiosi su tutta la complessa problematica che involge la riserva di legge, mostrandone la centralità nello studio delle costituzioni contemporanee.
Il saggio di Fois muove, com’è noto, dalla ricostruzione storica, a partire dall’esperienza della monarchia costituzionale tedesca, delle forme di governo del continente europeo allo scopo d’indagare quale fosse in origine e come si sia in seguito trasformato l’istituto della riserva di legge. Questa è intesa fondamentalmente come una clausola di riserva di competenza a favore del legislativo che nelle diverse esperienze storiche, da un lato, interferisce sino a confondersi con il principio di legalità e, dall’altro, proprio in quanto norma sulla competenza, è volta a garantire la stabilità dei rapporti tra legislativo ed esecutivo.
In particolare nella monarchia costituzionale tedesca, basata su un rigido dualismo tra il Sovrano ed il Parlamento con evidente prevalenza del primo, non essendo ancora operante il principio della sovranità popolare, la riserva di legge si atteggia come una clausola generale che assegna al Parlamento la disciplina degli interventi sulla libertà e sulla proprietà dei singoli. Essa costituisce dunque un limite estrinseco del potere dell’esecutivo, per il quale la legge non è il fondamento ma il limite della sua attività. Tenuto conto che nell’ambito di questa forma di governo residuano al monarca numerosi poteri normativi primari (inerenti, ad esempio, ai rapporti di soggezione speciale e alle ordinanze di urgenza, insieme con le autorizzazioni precostituzionali o derivanti da norme consuetudinarie), la conclusione di Fois è che la riserva di legge garantisce, nella monarchia costituzionale, l’esecutivo contro le ingerenze del potere legislativo.
Così configurata, la riserva di legge finisce col sovrapporsi al principio di legalità formale e a presentarsi come semplice conseguenza della supremazia della legge sugli atti amministrativi, ma essa non rappresenta per Fois, contrariamente alle opinioni correnti, garanzia dei diritti individuali, a causa dell’assenza in siffatte forme di governo di limiti sostanziali (intrinseci) alla legge.
2. Nelle democrazie parlamentari la riserva di legge, sempre intesa come riserva generale per tutto ciò che attiene alle limitazioni della libertà e della proprietà, coincide del tutto con il principio di legalità. Si afferma in questa esperienza la necessità dell’Ermächtigung legislativa e sebbene si riconoscano i diritti individuali e la loro azionabilità, la mancanza di limiti al potere legislativo impedisce che la presenza della legge possa funzionare da garanzia di tali diritti.
Poiché in dette forme di governo la preminenza della legge è assoluta e incondizionata, la riserva di legge non vale più come limite per il legislativo, ma ne rafforza il potere nei confronti dell’esecutivo.
Questa conseguenza non discende, secondo Fois, dal carattere flessibile delle costituzioni riconducibili alle democrazie parlamentari classiche che, in quanto tali non pongono limiti cogenti al legislatore, con la conseguenza che la riserva di legge non impedisce il trasferimento all’esecutivo dei poteri riservati al Parlamento, ma deriva semplicemente dalla concezione della riserva di legge come espressione della supremazia del Parlamento.
3. La prospettiva muta radicalmente con l’avvento delle costituzioni rigide e garantite dal secondo dopoguerra, che superano il mito dell’onnipotenza del legislatore, sottoponendone l’attività a limiti estrinseci (Francia, V Repubblica, con la creazione di una riserva di regolamento) ed intrinseci (Germania federale e Italia).
In conseguenza di questi ultimi limiti si afferma il divieto per il legislatore – di fronte alla riserva di legge – di trasferire in bianco i propri poteri al Governo.
Fois nega che nel nostro ordinamento operi un principio di legalità sostanziale, respinge la tesi di Crisafulli che ne ravvisa il contenuto nella necessità di uno stacco tra il disporre e il provvedere e nega conseguentemente che il principio di legalità sostanziale possa assorbire la riserva di legge.
Nemmeno nelle esperienze contemporanea Fois vede nell’istituto della riserva di legge una garanzia dei diritti individuali, in quanto ritiene che il fatto che essi siano sottoposti a disciplina legislativa non interessi la loro protezione.
Individua alla fine la ratio della riserva nel trattamento giuridico della legge e cioè nella dialettica parlamentare tra maggioranza e opposizione e quindi nel controllo di costituzionalità cui le leggi sono sottoposte.
Allora il significato della riserva di legge si caratterizza per la possibilità che le opposizioni partecipino alla elaborazione degli atti legislativi e perché nei confronti di tali atti è attivabile il sindacato di legittimità costituzionale, affidato nel nostro ordinamento alla Corte costituzionale. Sicché la ratio della riserva consiste in queste forme di governo nella difesa della Costituzione.
Corollario di questa tesi è quello che anche le leggi regionali, rispondendo a tale logica, soddisfano la riserva di legge, mentre estranei ad essa sono altre forme di riserva di competenza, come quelle relative ai regolamenti parlamentari, all’autonomia collettiva e ai regolamenti locali, che invece rispondono ad esigenze diverse.
Infine, quanto alla distinzione tra riserve assolute e riserve relative, la soluzione che ne dà l’A. è del tutto coerente con l’idea della riserva come norma sulla competenza: la riserve sono tutte, in via di principio, assolute, salvo che esse alla luce della Costituzione e degli interessi costituzionali in gioco, non si presentino come relative; salvo, cioè, che la Costituzione non esiga che il legislatore dia una disciplina completa della materia riservata, ma consenta ovvero richieda l’intervento di altre fonti. Emerge così, senza peraltro essere letteralmente esplicitata, la distinzione, di cui s’impossesserà la dottrina successiva, tra l’aspetto negativo della riserva, che si ritrova anche nelle precedenti esperienze costituzionali, e quello positivo, caratteristico delle costituzioni rigide del secondo dopoguerra, che impone al legislatore la disciplina degli oggetti riservati, inibendogli al contempo di devolverla all’esecutivo.
4. Sono trascorsi ormai quasi cinquant’anni dalla pubblicazione del saggio di Fois ed è quindi necessario interrogarsi oggi su ciò che è valido ancora e ciò che invece è caduco nella sua ricostruzione della riserva di legge.
È sicuramente valido il metodo storico-comparativo per lo studio di un istituto che affonda le sue radici nella storia del costituzionalismo europeo e della rappresentanza politica; sicché la ricerca del significato attuale della riserva di legge non poteva prescindere dallo studio delle esigenze che sin dall’origine essa doveva soddisfare e dai modi in cui essa è stata configurata.
Altrettanto validi sono ancora i risultati dell’indagine svolta sulla base di tale metodo, che pone in luce come la riserva di legge sia un elemento qualificante delle forme di governo. Il dualismo che caratterizza, in particolare, le monarchie costituzionali è lucidamente espresso nella riserva di legge.
Piuttosto, proprio con riferimento a tali esperienze, a me pare che la riserva non sia, come ritiene Fois, un istiututo di garanzia per il Sovrano contro il rischio di prevaricazioni parlamentari nei confronti della “prerogativa regia”, ma all’opposto rappresenti – considerata la monarchia costituzionale una sorta di ponte tra lo Stato assoluto e il regime parlamentare – una tappa costituzionalmente fissata nel percorso che vede i Parlamenti divenire titolari della pienezza del potere legislativo. Essa quindi garantiva contro la tendenza, sempre presente nelle monarchie costituzionali del secolo XIX e dell’inizio del XX, ad un recupero dei poteri originariamente spettanti al Sovrano assoluto.
Ritengo ancora che possa considerarsi superata l’idea, che percorre tutta l’indagine, del principio di legalità come legalità formale e mi pare che non sia stato colto e approfondito lo spunto anticipatore di Crisafulli (nella sua nota alla sent. n. 13/1961 della Corte) verso una configurazione, anche in base all’art. 97 Cost., del giusto procedimento.
Oggi, anche grazie agli sviluppi indotti dalla legge n. 241/1990 e ad una significativa giurisprudenza costituzionale, è difficile disconoscere che nella Costituzione italiana il principio di legalità dell’azione amministrativa abbia valore sostanziale e che l’idea crisafulliana dello stacco tra il disporre e il provvedere, tra la legge che fissa i criteri dell’azione amministrativa autorizzando l’esecutivo a disporre dei diritti individuali e il provvedimento che, sulla base ed in conformità di quei criteri, determina la compressione dei diritti, sia pienamente realizzata.
Probabilmente l’aver trascurato questo aspetto del principio di legalità è alla base della svalutazione, presente nel libro, della riserva di legge come momento di garanzia dei diritti. Invero la circostanza che sia la legge a tracciare gli ambiti dell’attività amministrativa garantisce non solo la legalità (sostanziale) della stessa, ma anche la certezza del diritto e l’eguaglianza nella sua applicazione, se si riflette che la discrezionalità attribuita all’amministrazione è essa stessa sindacabile dal giudice amministrativo, non solo in rapporto alle specifiche previsioni della legge, ma anche sotto il profilo dell’eccesso di potere in tutte le sue forme e figure sintomatiche ed anche dei principi generali del diritto.
5. Ma il frutto più maturo ed ancora apprezzabile dell’indagine di Fois è la configurazione della riserva in termini di competenza, cui si congiunge la riflessione che la sua ratio si ricollega al regime stesso della legge, sia nella dialettica maggioranza/opposizioni, sia quanto a controllo di costituzionalità dell’atto legislativo.
Questa conclusione apre la strada ad alcuni interrogativi su temi sui quali Sergio Fois ritornerà più avanti, quello dell’idoneità degli atti del Governo con forza di legge a soddisfare la riserva e quello del ruolo dei regolamenti comunitari.
Entrambi questi interrogativi riceveranno dalla Corte risposta affermativa e metteranno in discussione la linearità della costruzione di Fois (che, non senza un certo imbarazzo, qualche anno più tardi prenderà atto della possibilità che nella materia riservata intervengono decreti-legge e decreti legislativi), ma, a ben vedere, la sua costruzione ne esce rafforzata.
Infatti, se è pur vero che l’intervento degli atti con forza di legge nelle materie riservate attenua il valore democratico-parlamentare della riserva, è anche vero che il momento parlamentare di confronto maggioranza/opposizioni viene comunque spostato, nei decreti-legge, alla fase della conversione e, nei decreti legislativi, alla fase della delegazione e dei pareri parlamentari che accompagnano la formazione dei decreti delegati; fermo comunque il controllo della Corte costituzionale.
Quanto ai regolamenti comunitari, la stessa sent. n. 183/1973 della Corte, che ne affermò l’idoneità ad intervenire nelle materie riservate (nella specie, nella disciplina delle prestazioni patrimoniali imposte di cui all’art. 23 Cost.), conferma la validità dell’impianto dell’analisi di Fois sulla riserva di legge come norma sulla competenza. Infatti, una volta costruito – come fece la Corte nel 1973 – il rapporto tra ordinamento interno e ordinamento comunitario in termini di separazione di competenze normative in forza dell’art. 11 della Costituzione, ne discende in modo rettilineo la conclusione che, nelle materie trasferite alle Istituzioni europee, la riserva di legge si trasforma in una riserva di atto normativo comunitario, a meno che non vengano in rilievo i principi supremi della Costituzione e i diritti inalienabili della persona umana.
Ricordo che Fois, con il quale ebbi a discutere di tali temi, non apprezzava affatto giurisprudenza della Corte in materia, ma essa era proprio il risultato delle sue profonde intuizioni consegnate al saggio del 1963.
Federico Sorrentino