Istituzioni e dinamiche del Diritto

I confini mobili della separazione dei poteri

Con il contributo di: Banca Popolare dell’Emilia Romagna - Banco Popolare di Verona e Novara - Unicredit Banca - CCIAA Modena - Confindustria Modena

Dalla Legislazione come attivita' prescrittiva
alla Legislazione come attivita' direttiva


Dalla Legislazione come attivita' prescrittiva<br/>alla Legislazione come attivita' direttiva
Chiesa della Fondazione San Carlo

MODENA, 10 NOVEMBRE 2006Chiesa della Fondazione San Carlo

Il primo incontro è stato dedicato all’attività legislativa, relativamente alla quale si può innanzitutto osservare come la disciplina della produzione normativa non solo rivesta un ruolo preliminare rispetto a tutti i temi di qualsiasi branca del diritto, ma rappresenti, nel contempo, una delle operazioni più delicate e problematiche del diritto pubblico.
Negli ultimi decenni, in particolare, da un lato, è emersa una crescente difficoltà nella “comunicazione” tra chi pone le regole e chi è chiamato ad osservarle, in presenza di provvedimenti sempre più complessi e talvolta formulati in un linguaggio non immediatamente comprensibile; dall’altro lato, ha assunto crescente rilievo la dibattuta tematica degli equilibri tra i differenti attori politici visti nella loro veste di «creatori di diritto».

In tale prospettiva, un interrogativo di primaria importanza concerne, appunto, la natura dell’attività legislativa, cui è inscindibilmente connessa non solo la determinazione del margine di discrezionalità da riconoscere al Legislatore in relazione alla Carta Costituzionale, ma anche la stessa collocazione istituzionale del Parlamento, condizionata, oltre che dal modo d’intendere la democrazia, anche dallo spazio assegnato alla normazione posta in essere dal Governo nazionale e dai vari governi locali.
Discorso, questo, che conduce a dare il giusto rilievo alla riforma del Titolo V della Costituzione, che ha inciso profondamente sul riparto di competenza legislativa tra Stato e Regioni, nonché, in un’analisi di più ampio respiro, al rapporto tra diritto interno e diritto comunitario, ancora in attesa di una definitiva sistemazione.
Venendo al concreto svolgimento della giornata di studi, ai saluti del Rettore, prof. G. C. Pellacani, e del Prefetto, dott. G. Ferorelli, è seguita la presentazione del volume degli Atti dei Seminari dell’Anno Accademico 2005-2006 da parte del prof. M. Baldassarri (Univ. Roma “La Sapienza”), il quale ha trattato del rapporto tra economia e diritto, mettendone in risalto le strette interrelazioni e sottolineando l’incidenza dell’evoluzione del fattore economico sulle dinamiche del diritto.
Nel contesto attuale, infatti, lo sviluppo tecnologico impone una rilettura sia dei confini tra Stato e Mercato, ormai estremamente sfumati, sia della nozione di sovranità dello Stato, che è traslata da un livello essenzialmente locale ad una prospettiva globale.
E la sfida, sia del giurista sia dell’economista, è, oggi ancor più che in passato, quella di contemperare l’anelito di libertà del singolo, che non deve diventare assoluta “licenza”, con l’esigenza di apporre delle regole, che non devono tradursi in oppressione delle scelte individuali.

A seguire, l’apertura dei lavori è stata curata dal prof. A. Vignudelli (Univ. Modena e Reggio Emilia), che ha posto le premesse e gli interrogativi essenziali dell’incontro.
Più specificamente, assunto che nel passaggio dallo stato di diritto ottocentesco allo stato contemporaneo si riscontra un indebolimento di fatto della posizione di centralità della legge, la quale opera spesso in termini direttivi più che prescrittivi, divenendo altrettanto di frequente un mero strumento per l’applicazione di una disciplina generale stabilita altrove (ad esempio, nella Costituzione o nell’ordinamento comunitario), ci si chiede se ciò rappresenti un’evoluzione o piuttosto uno snaturamento della funzione legislativa.
Tutto questo sullo sfondo del legame inscindibile tra legge del Parlamento e natura democratica dell’ordinamento.

L’intervento del prof. F. Sorrentino (Univ. Roma “La Sapienza”) s’è focalizzato sulle divergenze tra l’attuale sistema delle fonti e quello delineato nell’originario disegno costituzionale.
Se è innegabile che la Costituzione si caratterizzi per la centralità della legge e del Parlamento quale produttore di norme giuridiche, il prepotente emergere del ruolo trainante dell’esecutivo, l’attenuazione e la relativizzazione della portata delle riserve di legge, i riflessi sulla potestà normativa conseguenti alla riforma del Titolo V, il processo d’integrazione comunitaria e, da ultimo, la legge 246 del 2005 sono i principali fattori che, supportati dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, hanno determinato l’erosione del primato parlamentare.
In un simile contesto, ogni tentativo di migliorare la legislazione, in mancanza di una previa revisione costituzionale, sembrerebbe essere inevitabilmente destinato all’insuccesso.

Il prof. A. Ruggeri (Univ. Messina) ha trattato il tema della discrezionalità legislativa, sviluppandolo anche alla luce della giurisprudenza costituzionale e proponendo una lettura sistematica e strutturale della Carta Fondamentale idonea a temperare i contrasti tra le concezioni tradizionali, rappresentate dalla visione “totale” della Costituzione-programma o, viceversa, da quella “parziale” della Costituzione come vincolo solo negativo.
Coerentemente, la valenza del limite alla discrezionalità del legislatore è determinata non solo dalla duttilità del parametro di riferimento, ma anche dall’oggetto col quale esso interagisce e quindi la forza del vincolo costituzionale è direttamente proporzionale alla funzione che le varie fonti rivestono nell’ambito del contesto costituzionale.

L’intervento del prof. C. Mezzanotte (Univ. LUISS-Roma “Guido Carli”), incentrato sul riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni, è stato condotto sia sulla base delle modifiche dei dati normativi di riferimento, sia in considerazione delle numerose pronunce della Corte Costituzionale, che hanno assunto un ruolo determinante nella tematica in oggetto.
E’ stato così esaminato il complesso rapporto trilaterale che vede quali protagonisti lo Stato, le Regioni ed il Giudice delle leggi e che sembra avere portato ad un superamento della rigida ripartizione di competenze “per materie” in favore di un modello flessibile imperniato sulla sussidiarietà e sulla leale cooperazione.

Il prof. A. Celotto (Univ. “Roma Tre”) ha sviluppato il tema della legislazione comunitaria, con specifico riguardo all’incidenza della stessa sul nostro ordinamento. E’ emerso che le fonti comunitarie hanno concorso non solo a fare perdere centralità alla legge, ma anche ad erodere, a causa della loro forza paracostituzionale, il preminente ruolo della Costituzione e della Corte Costituzionale.
Per converso, il processo d’integrazione comunitaria tende all’unificazione normativa, il cui momento cardinale è rappresentato dal recepimento delle direttive da parte degli stati membri.
Ed il meccanismo prescelto al riguardo dal nostro legislatore – la c.d. legge comunitaria –, pur avendo accelerato il processo d’adeguamento dell’ordinamento interno, manifesta numerosi problemi relativamente sia al ruolo delle Regioni, sia allo strumento della delega legislativa.
Una soluzione potrebbe essere rappresentata, almeno per le direttive dettagliate, dal recepimento mediante ordine di esecuzione.

La seduta pomeridiana è stata presieduta dal prof. L. Arcidiacono (Univ. Catania), che ha introdotto il dibattito e svolto una sintesi delle relazioni tenute nel corso della prima parte della giornata, evidenziando il tramonto dell’originale quadro costituzionale – acuito dal modo di essere del nostro impianto partitico – sul quale si è innestato il ruolo suppletivo svolto dalla Corte Costituzionale.
Il tema della potestà regolamentare del Governo è stato assunto dalla prof.ssa L. Carlassare (Univ. Padova) quale angolazione privilegiata per osservare lo stretto rapporto tra forma di governo, forma di stato e sistema delle fonti.
Si è esaminato il graduale ampliamento del potere regolamentare dalla mera esecuzione della legge alla c.d. delegificazione. La chiave di volta di tale passaggio è rappresentata dalla legge 400 del 1988, che ha cercato di porre rimedio al patologico irrigidimento dell’assetto delle fonti legittimando i regolamenti di delegificazione, ma nel contempo, riconducendoli alla necessaria predeterminazione della cornice normativa di riferimento da parte del legislatore. Tuttavia, nella prassi, ciò si è verificato di rado: ne deriva la frequente presenza di regolamenti di delegificazione in spazi non disciplinati da fonti primarie, in contrasto con quanto stabilito dalla Carta Costituzionale.

Il prof. E. De Marco (Univ. Milano) è intervenuto sui regolamenti degli enti locali, compiendo innanzitutto un raffronto tra le varie normative sul punto, a partire dal sistema pre-costituzionale, per poi concentrarsi su quella attuale, della quale ha evidenziato i principali problemi applicativi ed interpretativi, anche in rapporto alla riforma del Titolo V.
Si è pervenuti così ad un efficace ragionamento di sintesi sulla natura degli atti in oggetto nonché sulla loro collocazione nel sistema delle fonti, dal quale è emerso il progressivo ampliamento della potestà regolamentare locale, specie comunale, ma pure, ed in maniera corrispondente, una diminuzione dei controlli sull’esercizio della stessa.

La relazione del prof. A. Morrone (Univ. A.M. Bologna) si è focalizzata sul rapporto tra le ordinanze di necessità ed urgenza e la legge, sviluppando la problematica della linea di confine tra le due fonti del diritto sullo sfondo dell’evoluzione in tema di forme di governo.
Da un lato, l’adozione di un approccio storico-sistematico e l’analisi della giurisprudenza costituzionale hanno consentito di cogliere natura e fondamento del potere d’ordinanza; dall’altro lato, l’esame congiunto dei provvedimenti legislativi concernenti le ordinanze e della relativa prassi applicativa ha evidenziato la difficoltà di ricondurre il fenomeno nell’alveo del principio di legalità.

Il prof. A. Di Pietro (Univ. A.M. Bologna) ha trattato il tema delle circolari, assumendo come punto di partenza, al fine di definirne ruolo e nozione, il passaggio dalle circolari come atto di autorità alle circolari interpretative, intese come norme “interne” che assicurano l’ordine interpretativo e, conseguentemente, garantiscono al singolo individuo la vincolatività dell’interpretazione e la stabilità dell’applicazione della norma da parte dell’autorità pubblica.
Di conseguenza, la circolare, che ha visto mutare il suo ruolo in concomitanza con la crisi della formulazione della legge, assume effetti “esterni”, divenendo, ad un tempo, epifania della norma – ossia unica manifestazione della stessa attraverso l’applicazione –, strumento di certezza a fronte di disposizioni di contenuto oscuro, nonché garanzia dell’imparzialità dell’azione amministrativa.