Istituzioni e dinamiche del Diritto

I confini mobili della separazione dei poteri

Con il contributo di: Banca Popolare dell’Emilia Romagna - Banco Popolare di Verona e Novara - Unicredit Banca - CCIAA Modena - Confindustria Modena

I confini mobili della separazione dei poteri

Quello dei «confini mobili della separazione dei poteri» è, evidentemente, un tema di portata assai ampia, rispetto al quale s’è ritenuto opportuno tentare di svolgere - pur senza venir meno al taglio anche pratico-operativo dei nostri incontri - una riflessione più approfondita, trattandosi d’una problematica che tocca i presupposti non solo giuridici ma, più in generale, teorici e culturali del moderno edificio statale.
In particolare, del principio di separazione dei poteri, coerentemente con l’intento di guardare il fenomeno giuridico nella sua dimensione dinamica, abbiamo cercato di cogliere ed analizzare le trasformazioni, che - soprattutto negli ultimi decenni - hanno assunto proporzioni tali da interferire col significato e la portata dello stesso principio democratico consegnatoci dalla nostra Costituzione repubblicana.
Tutto ciò tenuto conto che la distribuzione delle funzioni tra i differenti organismi pubblici sottende una ben precisa opzione in ordine al tipo d’equilibrio che si vuol stabilire tra le ragioni della garanzia e quelle dell’efficienza, coniugando la cifra d’autoritarietà intrinseca al diritto con la tutela delle situazioni giuridiche riconosciute in capo ai governati.
Ecco allora che si pone, in primo luogo, l’interrogativo sulla valenza della legge. Da un lato, infatti, si deve constatare che essa incontra sempre più difficoltà ad operare in termini prescrittivi e non di rado finisce per lasciare ad altri atti la concreta disciplina dei fenomeni.
Dall’altro lato, tuttavia, posto che lo schema adottato per la sistemazione delle fonti del diritto corrisponde al quadro di rapporti che s’intende stabilire tra gli organi ai quali ciascuna di esse si riconduce, è inevitabile chiedersi quali siano le implicazioni dei processi in atto rispetto alla tenuta del sistema nel suo complesso, nel quale il legislatore costituente ha per certo inteso attribuire una posizione di centralità al Parlamento, in quanto sede principale della rappresentanza politica.
 In questa prospettiva, se la democraticità della P.A. s’esprime certamente in una serie di princìpi sui quali, soprattutto negli ultimi anni, s’è posto l’accento (a cominciare da quello di trasparenza dell’agire amministrativo), non va dimenticato che, in tal senso, un ruolo preliminare ed indispensabile continua ad essere svolto dal principio di legalità, che costituisce tuttora il principale strumento di trasmissione della volontà del legislatore e - in via mediata - dei rappresentati.
Principio dal quale non si può quindi prescindere quando si ricerca il significato di altri solo di recente introdotti in modo esplicito nel nostro ordinamento come quello di sussidiarietà, che sembra, in qualche misura, implicare una valutazione d’opportunità non completamente predeterminabile nei suoi parametri e nei suoi risultati.
Ma il profilo oggi più controverso è probabilmente quello relativo ai rapporti tra il c.d. gubernaculum, quale centro d’imputazione dell’autorità politica costituito dal binomio Parlamento-Governo e la c.d. jurisdictio, e cioè il potere giurisdizionale.
Qui il modello giuridico del nostro Stato democratico rappresentativo sta forse subendo la sua metamorfosi più radicale pure sotto l’effetto d’una progressiva ibridazione, favorita dalla costante crescita delle giurisdizioni internazionali e specialmente di quella comunitaria, tra ordinamenti di civil law come quello italiano ed ordinamenti di common law di matrice anglosassone, che offrono al giudice maggiori spazî di creatività non immediatamente conciliabili col ruolo ad esso assegnato nella nostra Carta Costituzionale.
In altri termini, sullo sfondo di questi problemi si profilano questioni teoriche che toccano le opzioni preliminari sulle quali si reggono i sistemi sociali e dalle quali discendono molte delle posizioni in tema d’interpretazione giudiziale.
In filigrana si scorgono - come peraltro in ogni periodo di grandi trasformazioni economiche e sociali - veri e proprî tentativi di ridefinizione dello stesso concetto di diritto, per cui, accanto a quello «epifanizzato», vi sarebbe un insopprimibile diritto latente, mentre da altra parte si propone di risolvere il fenomeno giuridico - di cui quello che s’è soliti pensare come diritto oggettivo, inteso come insieme di regole, sarebbe solo un fattore - in una pratica sociale.
Il tutto con l'ovvia conseguenza di rileggere la stessa problematica della separazione dei poteri alla luce di dati «giuridici» meno evidenti di quelli primariamente oggetto delle riflessioni qui esposte.
Aljs Vignudelli
Ordinario di Diritto Costituzionale
nell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia