Orizzonti del Credito

Con il contributo di Banca Interprovinciale

Antonio Patuelli


Antonio Patuelli
Antonio Patuelli, Vicepresidente dell’ACRI - Vicepresidente vicario dell’ABI - Presidente della Cassa di Risparmio di Ravenna Spa - componente del C.N.E.L.

LE BANCHE ITALIANE E IL SUPERAMENTO DELLA CRISI

Modena, 6 Dicembre 2010

1. Gli sviluppi della congiuntura economica

I mesi che abbiamo trascorso e quelli che stiamo vivendo hanno dimostrato quanto i sistemi economici dei Paesi industrializzati presentino elementi di fragilità e come siano necessarie ed improrogabili, tra l’altro, azioni volte a ridefinire il quadro regolamentare e l’architettura della supervisione su intermediari e mercati, oltre che un fattivo contributo di tutti gli operatori economici.
Nell’attuale contesto economico - sia congiunturale che normativo - cruciale, infatti, appare il miglioramento e l’intensificazione delle relazioni fra tutti gli attori economici - imprese bancarie, imprese produttive, specie quelle di piccole e medie dimensioni, che rappresentano la quasi totalità del mondo imprenditoriale italiano, e la pubblica amministrazione - al fine primario di unire le forze per supportare e dare impulso alla fase di ripresa ciclica del nostro apparato produttivo.
La crisi è stata particolarmente intensa; un dato su tutti può dare il senso di quanto si è perso: nel solo biennio 2008-2009, la differenza tra il tasso di crescita del pil mondiale previsto appena prima della crisi e quello che si poi verificato è pari a quasi 8 punti percentuali (9,7% prima, 1,9% oggi: in Italia si registra l’impatto più forte).
I dati sul prodotto interno lordo segnalano che la discesa è stata ripidissima e differenziata tra paese e paese: tra il punto di picco (1° trimestre 2008) e il punto di minimo (2° trimestre 2009) la perdita di prodotto interno lordo è risultata pari al 6,8% in causa del regime fiscale, si sono accumulate ingenti imposte differite attive.
Sul fronte della congiuntura bancaria, gli ultimi dati sembrano evidenziare una fase di ripresa del trend dei finanziamenti, in linea con una migliore intonazione degli investimenti produttivi e degli scambi con l’estero.
La dinamica dei prestiti bancari ha manifestato, a ottobre un’ulteriore lieve accelerazione; sulla base di prime stime i prestiti a residenti in Italia al settore privato hanno segnato un tasso di crescita tendenziale pari a +5,4% (+4,6% a settembre 2010 e +0,1% a ottobre 2009).
Si è tornati sui livelli di crescita di ottobre 2008. Alla fine di ottobre 2010 l’ammontare dei prestiti al settore privato del sistema bancario italiano è risultato pari a 1.663 miliardi di euro. Rispetto a ottobre 2009 il flusso netto di nuovi prestiti è stato di oltre 82 miliardi di euro. In particolare, secondo prime stime, i prestiti a famiglie e società non finanziarie sono risultati pari a 1.449 miliardi di euro, in crescita tendenziale del +3,7% (+3,2% a settembre 2010; +0,5% ad ottobre 2009).
E’ un dato migliore di quello medio dell’Area Euro dove sempre ad ottobre il tasso si colloca intorno al +1,6%.
Cosa molto positiva e promettente è che la crescita del credito comincia ad interessare anche il settore delle imprese. A settembre 2010 la dinamica dei finanziamenti destinati alle imprese non finanziarie è risultata del +0,3% (+0,5% secondo prime stime ad ottobre). Rispetto alla media dell’Area Euro, che rimane ancora su un trend negativo (-1,1%), il nostro Paese ha fatto molto meglio.
Migliore appare il risultato della dinamica dei Italia, al 6,2% in Germania, al 4,5% in Spagna, 4% negli Stati Uniti e al 3,6% in Francia.
Anche la risalita, che è in atto, ha una velocità molto differenziata da paese a paese: alla fine del terzo trimestre di quest’anno mentre negli Stati Uniti era stato recuperato l’88% del terreno perduto, in Germania il 71 ed in Francia il 53, nel nostro paese il recupero, pur in atto, è pari solo al 20% di quanto perso. I ritmi di sviluppo che vengono prospettati per il futuro prossimo non sono dunque sufficienti: se nei prossimi anni crescessimo al ritmo medio del quinquennio precedente la crisi (2003-2007, +1,1%) impiegheremmo più di 5 anni solo per ritornare sui livelli di reddito nazionale pre-crisi.
Il punto di fondo sta dunque nell’imprimere slancio alla fase di ripresa.
I primi dati ufficiali sui conti economici nazionali relativi al terzo trimestre del 2010 indicano che gli Usa hanno proseguito a marciare sul sentiero di crescita non molto sostenuto già mostrato nei tre mesi precedenti, segnando una variazione congiunturale del Pil del +0,6% trimestre su trimestre.
Ritmi di crescita simili sono stati tenuti tra luglio e settembre anche nell’Area Euro dove, in rallentamento rispetto al trimestre precedente, si è registrata una crescita del +0,4% trimestre su trimestre.
Tra i principali paesi dell’Eurozona, anche nel terzo trimestre l’Italia è quello che ha segnato la perfomance più contenuta, con una variazione del +0,2% trimestre su trimestre (Francia +0,4%, Germania +0,7%).
Il basso profilo di crescita italiano è in buona parte attribuibile al contributo pressoché nullo offerto dai consumi privati. Nell’attuale fase di incertezza, e con aspettative non molto positive sulle prospettive del mercato del lavoro e sull’andamento del reddito disponibile reale, le famiglie italiane tendono a rinviare i consumi. Positivo è invece il contributo degli investimenti e, soprattutto, della bilancia commerciale.
Questi dati, non solo italiani, devono essere letti in maniera appropriata. Nell’anno che si sta per chiudere a livello mondiale il tasso di crescita sarà maggiore di quanto fosse stato inizialmente previsto. L’economia rimane su un sentiero di recupero delle attività. Il punto è però che la forza della ripresa va indubbiamente cedendo.
Non mancano le luci: ricordo per esempio la buona intonazione degli indicatori di fiducia sia delle famiglie che delle imprese dell’Area Euro e da ultimo degli stessi Stati Uniti ma, non vi è dubbio, che si stiano affacciando un po’ di ombre.
Tra tutte, la principale riguarda le difficoltà dei conti pubblici in alcuni paesi dell’Area Euro (Grecia ieri, oggi essenzialmente Irlanda e Portogallo).
E’ spia di queste difficoltà l’incremento dei premi sui CDS dei titoli di Stato di questi paesi che permangono su livelli molto elevati e sono tornati pesantemente a crescere nelle ultime settimane. In Italia l’incremento dei CDS è stato più contenuto, anche se negli ultimi giorni lo spread BTP-Bund ha raggiunto il valore più alto dell’ultimo anno, superiore ai 200 punti base.

2. Il ruolo delle banche e l’andamento del credito

Anche in questa fase grande e fattivo è stato - e continua ad essere - l’impegno delle banche italiane per il sostegno della nostra economia, con particolare riguardo a imprese e famiglie.
Unico in Europa, forse nel mondo, l’Avviso comune rappresenta senza dubbio la prova più tangibile di quanto le banche siano vicine alle imprese: 179 mila domande accolte, per un controvalore di debito residuo pari a 53,5 miliardi di euro e una liquidità generata pari a 13 miliardi.
A questa misura se ne sono aggiunte tante di livello nazionale e locale cui le banche e l’intera industria bancaria hanno attivamente contribuito, anche specificamente rivolte al comparto delle famiglie.
Ora occorre lavorare per uscire dall’approccio emergenziale, la cui efficacia è stata indubbia, per entrare nella fase della ripresa, del rilancio dell’economia, della nuova progettualità imprenditoriale.
A tal fine il grande corpo di strumenti di incentivo per l’accesso al credito costruiti e promossi in questi ultimi anni, a partire dai fondi di garanzia e dalla rete dei confidi, vanno ottimizzati, razionalizzati, rimessi a fuoco in funzione dell’obiettivo “nuovo” dello sviluppo dell’impresa, abbandonando quello della mera sopravvivenza.
E’ necessario concentrarsi sull’efficienza di questi strumenti, sulla loro capacità di mettersi in sinergia tra loro e integrarsi, sulla fondamentale opportunità che siano adeguati a quelle grandi e complesse macchine tecnologiche quali sono le banche oggi: non si può pensare che ogni banca, piccola, media o grande che sia, gestisca decine di fondi di garanzia singolarmente, ognuno con regole proprie e procedure differenti. Ciò mina alla radice la possibilità di incorporare nel business bancario le agevolazioni pubbliche o i sistemi di garanzia privati.
Per questo stiamo lavorando - e coinvolgeremo presto le associazioni imprenditoriali e le istituzioni competenti - ad un programma di ottimizzazione delle reti di garanzia, pubbliche e private.
E ancora, il processo di ri-regolamentazione bancaria - mi riferisco a Basilea 3 in particolare - renderà necessario un più stretto legame fra gli operatori economici, una maggiore capacità di dialogo che permetta una piena valorizzazione delle informazioni scambiate: l’industria bancaria italiana pur non avendo generato la crisi, ha condiviso, sin da subito, la necessità di un rafforzamento delle regole prudenziali a maggior presidio della stabilità bancaria e del governo dei rischi.
Abbiamo altresì ribadito l’esigenza di: calibrare adeguatamente gli interventi e garantire un congruo periodo di transizione; effettuare preliminari e accurate analisi di impatto macro e micro economico; tenere in considerazione il modello di business delle diverse banche, in maniera da penalizzare chi ha maggiore probabilità di ingenerare crisi sistemiche; non penalizzare, nelle misure sulle deduzioni dal patrimonio di Vigilanza, paesi come l’Italia in cui, a finanziamenti alle imprese italiane di più piccole dimensioni, che già ad agosto avevano manifestato incrementi più elevati: +0,5% il tasso di crescita annuo dei finanziamenti alle piccole imprese, +1,7% con riguardo alle famiglie produttrici.
Il credito alle imprese non è, comunque, mai mancato: laddove si consideri il biennio 2008-2009 - anni contraddistinti da una contrazione del Pil italiano di oltre 6 punti percentuali - i finanziamenti bancari alle imprese hanno segnato un tasso di crescita medio del periodo di oltre il 6%.
Sostenuta rimane la dinamica tendenziale del totale dei prestiti alle famiglie (+8,4% a settembre 2010, +9% ad agosto 2010; +3,6% a settembre 2009; +8,2% ad ottobre secondo prime stime). Nell’Area Euro la dinamica è stata invece circa la metà di quella italiana. In Germania e Spagna la crescita è stata invece prossima al mezzo punto percentuale.
La fase ciclica negativa si è riflessa inevitabilmente sulla qualità del credito. Se la crescita delle sofferenze al netto delle svalutazioni segna da diversi mesi un evidente rallentamento (+65% a dicembre 2009, +33% a settembre 2010), rispetto agli impieghi la sua incidenza continua ad aumentare (2,26% a settembre 2010, 1,83% un anno prima).
Stiamo continuando ad offrire credito buono a buone condizioni. Nonostante l’incremento del premio per il rischio il “prezzo” dei finanziamenti resta molto contenuto. Sulle nuove operazioni rivolte alle imprese i tassi italiani sono più bassi di quelli dell’Area euro, soprattutto quelli destinati alle PMI (fino a 1 milione di euro di finanziamento). Anche il tasso medio sulle nuove operazioni di mutuo per l’acquisto di abitazioni vede le banche italiane applicare delle condizioni più favorevoli rispetto alla media dell’Eurozona.

3. Le azioni da intraprendere per il superamento della crisi

Il problema di fondo dell’Italia risiede nella bassa crescita economica. Per far riemergere le grandissime potenzialità del nostro paese è necessario uno sforzo comune di tutte le forze del sistema produttivo italiano.
Con le altre associazioni di imprese, Confindustria in testa, abbiamo aperto una nuova fase in un clima sereno e costruttivo con l’obiettivo di accelerare la produttività, in primo luogo del lavoro. Nella classifica di tutti i paesi OCSE l’Italia occupa, infatti, l’ultimo posto come crescita della produttività del lavoro (dal 1997 al 2009). Nello stesso arco temporale la produttività del nostro Paese è rimasta ferma, perdendo 15 punti rispetto a Francia e Germania e oltre 20 rispetto al Regno Unito.
Ci aspettiamo che anche le Istituzioni ci seguano in questo difficile cammino, anche con lo strumento dell’incentivazione fiscale. La detassazione consistente e possibilmente piena del salario di produttività è un passo fondamentale che va compiuto. Deve diventare una misura strutturale della politica economica del Paese.
Ogni azione di rilancio dello sviluppo non deve mai tralasciare il “rigore” nella gestione del bilancio pubblico, vera conditio sine qua non. Nessun processo di crescita può essere sano e duraturo se non si mantiene ferma la “barra” dei conti pubblici, come ben fatto durante la fase più difficile della crisi economica. Le nuove tensioni di questi giorni sono un ammonimento per tutti e per i paesi ad alto debito in modo particolare.
Se il fardello del debito pubblico, accumulatosi nel corso di diversi decenni, è pesante va sottolineato che esso è più che compensato dal basso indebitamento privato. Considerando il debito interno lordo di un paese, cioè la somma del debito pubblico e di quello privato, la Gran Bretagna è tra i principali paesi europei quello più indebitato, con un rapporto di circa il 500% rispetto al Pil, seguita da Spagna (372%) e Francia (324%). L’Italia e la Germania, rispettivamente con il 319% e il 284% chiudono invece la classifica.
Da un punto di vista finanziario le famiglie italiane detengono poi un altro punto di forza oltre al basso livello di indebitamento: una rilevante capacità di risparmio. In Italia il risparmio finanziario accumulato è pari a circa 3 volte e mezzo il reddito disponibile, un valore superiore di oltre mezzo punto a quello di Francia e Germania e di un punto rispetto alla Spagna.
Quando si ha l’ambizione di indicare un percorso si deve anche avere il coraggio di dire chiaramente quale può essere nel contesto dato il proprio ruolo. Qual è, in questo contesto, il ruolo delle banche?
Le banche italiane si sono dimostrate solide ed estranee agli squilibri che hanno determinato la crisi finanziaria ed economica. Ciò costituisce un asset del paese. Basti solo pensare alle ingenti risorse che l’Irlanda ha messo in campo, anche con il sostegno esterno, per salvaguardare la stabilità del suo non robusto sistema bancario.
Nel corso della crisi, finanziaria ed economica, le banche italiane non hanno “tirato i remi in barca”.
Abbiamo contribuito alla tenuta complessiva del sistema, fungendo da “paracadute” per le imprese nella fase più acuta della caduta delle attività produttive, e ciò sia per ragioni strutturali che congiunturali.
Sotto il profilo strutturale, nella recessione recente, l’incremento del rischio creditizio dei finanziamenti al totale dei residenti (per memoria: tasso di decadimento) risulta pari, dopo nove trimestri dal suo inizio, a circa la metà di quello registrato alla stessa distanza durante la fase recessiva 1992-93, la quale fu di oltre tre volte meno grave in termini di perdita di Pil: è il segno che negli anni scorsi sono migliorate le nostre capacità di selezione dei prenditori di fondi; è un altro contributo al Paese in termini di stabilità e di innovazione.
Sotto il profilo più squisitamente congiunturale ricordo ancora le tante iniziative adottate a favore di PMI e famiglie in condizioni di disagio che hanno consentito di accrescere la liquidità di oltre 13 miliardi di euro.
Ma molte altre meritano menzione: Cassa depositi e prestiti, la partnership, siglata al Ministero dell’Economia nel maggio del 2009, tra BEI, ABI e Confindustria. Questi tre organismi hanno lavorato per migliorare la diffusione dei prodotti BEI presso banche e PMI. Il successo direi che è stato notevole se è vero, come è vero, che l’Italia è risultato il Paese con la più elevata quota di finanziamenti BEI.
Il nostro sostegno offerto all’economia ha comportato comunque dei costi ingenti: le perdite su crediti nel triennio 2008-10 si attestano a circa 38 miliardi, di cui 23 attribuibili all’eccezionalità del contesto macro.

Passata la fase più acuta della crisi adesso la nostra attenzione si è spostata sulle azioni per il futuro: vogliamo agevolare una ripresa che non dovrà perdere di vigore.
Ho già evidenziato che gli strumenti di garanzia, fattore indispensabile per l’ampliamento delle opportunità di accesso al credito per le imprese (soprattutto di minore dimensione) vanno rivisitati, integrati e perfezionati.
Per agevolare l’accesso al credito delle PMI è fondamentale che queste non rinviino ulteriormente la scelta di ricapitalizzarsi. I debiti bancari delle PMI italiane rispetto al patrimonio superano il 100% (104,2%), contro il 75% di Germania, 43 di Spagna e 27 di Francia.
La costituzione della SGR per le gestione del Fondo Italiano di Investimento - a cui Abi, insieme a Confindustria, ha partecipato con convinzione - è un passo che va nella direzione di favorire l’incremento della capitalizzazione delle imprese. L’idea è quella di avere un partner finanziario che affianchi temporaneamente l’imprenditore, senza sostituirsi ad esso. In sostanza, si vuole creare un numero consistente di medie imprese “campioni nazionali” in grado di affrontare anche le sfide della competizione internazionale.
Altro progetto su cui siamo fortemente impegnati con le imprese è sulla comunicazione finanziaria. Le informazioni sono la “materia prima” necessaria a rendere i progetti viabili e bancabili. Pensiamo che rendere consapevoli le imprese di quali dati le banche hanno bisogno per fare il loro lavoro possa migliorare i rapporti tra banche e imprese.

4. Note conclusive

Il mondo bancario italiano è una risorsa dell’Italia. Siamo orgogliosi di fare banca. Siamo orgogliosi di banche che operano per l’economia reale, per le imprese e le famiglie e non per la finanza fine a se stessa.
Credo che vi siano almeno tre elementi su cui la ripartenza del nostro Paese possa e debba solidamente basarsi: capacità di risparmio delle famiglie; coesione sociale; mondo bancario e sua articolazione.
Il primo elemento di forza è costituito dalla solidità finanziaria delle famiglie. Rispetto agli altri principali paesi europei le famiglie italiane, da un lato, possono fare affidamento su un risparmio molto cospicuo e,
dall’altro, non si sono indebitate oltremisura.
Il secondo asset è la coesione sociale. Nel complesso essa è stata preservata. Ma dobbiamo ricordarci che la sfida è la crescita, la redditività delle imprese, la ricchezza del Paese. Negli ultimi anni abbiamo vissuto situazioni straordinarie a cui abbiamo dato, abbiamo contribuito a dare, soluzioni non ordinarie. Occorre dare la prospettiva di una ricchezza maggiore per il futuro perché una maggiore ricchezza permetterà di consolidare il vero collante della società italiana, il collante sociale.
Il terzo, ma non certo ultimo, elemento di forza su cui far leva è proprio il DNA del mondo bancario italiano profondamente e quanto mai rinnovato negli ultimi quindici mesi e particolarmente ricco di operatori che si sono organizzati in forme giuridiche differenziate, che hanno assunto dimensioni diverse, che operano secondo strategie multiformi.
E’ questo un asset di particolare valore in un contesto complessivo che ha comunque valorizzato in questi anni un modo di fare banca improntato alla prudenza.
In Italia, negli anni scorsi i rapporti di prossimità si sono intensificati: l’intero mondo bancario italiano è contraddistinto da uno stretto legame con il territorio nella convinzione che esso con le sue risorse culturali, ambientali ed economiche è da considerarsi un grande e prezioso asset che va valorizzato e fatto crescere.
Le banche italiane continueranno a svolgere il proprio compito ed a lavorare con impegno per il bene del Paese.
Antonio Patuelli