Orizzonti del Credito

Con il contributo di Banca Interprovinciale

Camillo Venesio


Camillo Venesio
Camillo Venesio, Presidente Comitato Piccole Banche dell’ABI - Amministratore Delegato della Banca del Piemonte Spa

VERSO BASILEA 3

Modena, 6 dicembre 2010

Le norme prudenziali generalmente definite con il termine di Basilea (prima 1, poi 2 e in futuro 3) derivano da decisioni prese dal Comitato di Basilea sulla Supervisione Bancaria [1] che è un forum di regolare cooperazione internazionale per le questioni di controlli sulle banche; è composto dai rappresentanti di 27 Stati ed ha tra i compiti primari quello di migliorare la qualità della supervisione bancaria in tutto il mondo.

Naturalmente le decisioni del Comitato di Basilea, per essere applicate concretamente, devono essere recepite dai Governi e dalle Autorità di Vigilanza dei diversi paesi.

Il concetto di base delle regole prudenziali è abbastanza semplice.

Le banche fanno un mestiere rischioso, di rilevanza sociale, nel senso che – semplificando molto – raccolgono i risparmi della gente e prestano questi risparmi alle imprese e alle famiglie. Se qualcuno dei prenditori di credito fallisce o comunque fa bancarotta e non è più in grado di restituire i prestiti alle banche, queste ultime devono comunque essere sempre in grado di restituire i depositi ai propri clienti, in ogni momento, a semplice richiesta.

Le banche quindi devono avere un “cuscinetto” che consenta, quando qualcuna tra le imprese a cui hanno prestato i soldi non restituisce il proprio debito e quando le riserve poste a presidio dei crediti non bastano, di ammortizzare queste perdite senza intaccare i depositi dei propri clienti. Questo cuscinetto è rappresentato dalle riserve e dal capitale delle banche.

Il problema è: di che ammontare devono essere queste riserve e questi capitali? Gli azionisti delle banche (privati, fondi, istituzioni ecc.) cercano di metterne il meno possibile, in modo da rischiare il meno possibile; le autorità di tutto il mondo - che dovrebbero essere strutturalmente prudenti e quindi agire in modo che le banche siano sempre in grado di restituire i depositi ai clienti - ne richiedono il più possibile.

Con Basilea 1 (in vigore dal 1988) le regole prevedevano - semplifico un poco i concetti - che le banche di tutto il mondo dovessero mantenere un patrimonio (capitale e riserve) pari ad almeno l’8 per cento dei prestiti ai clienti; con Basilea 2 (in vigore in Europa dal 2007) si è sofisticato l’approccio: ferme restando le percentuali di patrimonio da detenere, i crediti e le altre operazioni che venivano fatte, e quindi si trovavano all’attivo delle banche, dovevano essere “pesate” secondo il rischio più o meno elevato che la banca aveva di incorrere in diminuzioni di valore su quegli attivi, in sostanza di perdere dei soldi su quegli attivi [2]. Inoltre, in Basilea 2 erano considerati anche altri rischi, c.d. operativi (rischi legali, di conformità, di errori informatici e di processo organizzativo…).

Nei lunghi anni di applicazione di queste regole sono avvenute alcune evoluzioni (in qualche caso sarebbe forse meglio definirle degenerazioni), ne ricordo in particolare due.

Primo, la qualità del patrimonio si è sempre più indirizzata - in coerenza con le regole della più parte degli organi di Vigilanz1 [3] - verso forme diverse dal patrimonio “classico” (capitale e riserve formate con aumenti di capitale e/o utili non distribuiti, quello che si chiama Core Tier One e con Basilea 3 Common Equity): strumenti “ibridi”, prestiti subordinati e altri strumenti, che erano assimilati al patrimonio ai fini della normativa ma che, in realtà, erano più vicini ai debiti che al patrimonio.

Secondo, i diversi Attivi (anche quelli più complessi) venivano in alcuni importanti casi “pesati” - per valutare quanto patrimonio era necessario tenere a fronte dei rischi di quegli Attivi - sulla base dei giudizi – in genere positivi – delle Agenzie di Rating, le quali a loro volta basavano le loro valutazioni su formule matematiche straordinariamente sofisticate, derivanti da più o meno recenti teorie economiche e finanziarie.

In sostanza, ci si è trovati, per dirla chiara, con banche che disponevano di patrimoni “veri” bassi e di attivi valutati con un po’ di arroganza intellettuale (o più semplicemente in modo superficiale) con quindi alcuni importanti rischi sottostimati, prima di tutto quello di liquidità, liquidità che, come noto, è “l’attitudine della banca a far fronte tempestivamente ed economicamente (ossia col minimo di spese e perdite) ai propri impegni di uscite monetarie” [4]

Le cose per un certo periodo sono andate bene; le economie si sviluppavano, il modello che ho appena descritto, di chiara ispirazione anglosassone (poche regole, il mercato è il principale regolatore) pareva garantire una costante crescita: non è stato così.

Qualche avvertimento peraltro c’era stato, anche ad alto livello; sono andato a ricercare un documento della primavera del 2006 che mi aveva colpito, scritto da Raghuram Rajan, allora Capo del Dipartimento di Ricerca del Fondo Monetario Internazionale: “questi sono i tempi migliori (the best of times) ma sono anche i tempi più pericolosi (the most dangerous of times). 

Aveva ragione: nel 2008 (con qualche avvisaglia già l’anno prima) è scoppiata una gravissima crisi finanziaria - mancanza di fiducia, conseguente mancanza di liquidità - che ha fatto enormi danni e che ha costretto i Governi di alcuni dei principali paesi del mondo (non l’Italia) a sborsare somme colossali per salvare alcune delle principali banche del mondo; dopo la crisi finanziaria (che non è ancora finita) si è diffusa in tutto il mondo sviluppato – e quindi anche nel nostro paese – una crisi economica di un’intensità senza precedenti.

E’ da sottolineare che le banche italiane non hanno alcuna responsabilità nello scoppio della crisi finanziaria per due importanti ragioni: in Italia siamo in presenza di una Banca Centrale attenta - probabilmente più attenta di altre Banche Centrali - alla Sana e Prudente Gestione e all’adeguata patrimonializzazione, come livello e come qualità del Patrimonio delle banche; siamo in presenza di una Banca Centrale che è stata storicamente più severa in termini di requisiti patrimoniali rispetto a molte altre autorità monetarie.

Secondo, il modello di business, cioè l’operatività delle banche italiane era ed è in larghissima prevalenza di classica banca commerciale: raccolta dei risparmi, prestiti alle famiglie e alle imprese, servizi d’incasso e pagamento, servizi finanziari; i grandi problemi, per esempio dei mutui sub prime, in Italia non si sono presentati. La più parte delle banche italiane non ha avuto bisogno di aiuto di capitale pubblico, in nessun caso sono stati erogati sostegni pubblici a fondo perduto. 

Riepilogando la situazione del “vecchio mondo” bancario e finanziario di matrice anglosassone: banche - alcune delle quali enormi - con scarsi patrimoni di alta qualità (prima li ho chiamati patrimoni “veri”), Attivi con valori irreali poi resi illiquidi dalla crisi; sfiducia generalizzata nei sistemi finanziari; crisi; pesanti interventi di salvataggio da parte di alcuni Governi.

Da tutto questo è nata una forte e diffusa richiesta di nuove, più incisive, più severe regole.

In questa situazione s’inseriscono le nuove norme, per quanto oggi possiamo conoscere, degli Standard Minimi di Capitale, che sono comunemente definite Basilea 3, recentemente approvate – in termini generali – anche dal G20 di Seoul.

La proposta regolamentare è severa e rigorosa, con peraltro una lunga gradualità, che dovrebbe essere utilizzata anche per trovare soluzioni a penalizzanti specificità nazionali (alcune italiane).

Le linee tracciate dal Comitato di Basilea per le banche si possono così sintetizzare:
aumentare la qualità, la consistenza e la trasparenza del capitale (più capitale in generale, più capitale di rischio “vero”, meno strumenti ibridi)
Introdurre dei buffer contro-ciclici (negli anni in cui le cose vanno bene si richiede di mettere fieno in cascina)
Introdurre un tetto al leverage ratio (non indebitarsi troppo)
Introdurre un requisito minimo di liquidità (non c’è nessuno strumento che è liquido in ogni circostanza)

Adottare misure specifiche per istituzioni systemically important (poiché sono le grandissime banche che ci hanno portato alla crisi finanziaria, per loro sarebbero richiesti requisiti più stringenti; attenzione però! Le grandissime banche che ci hanno portato alla crisi finanziaria sono in larga parte investment banks anglosassoni che non fanno il tradizionale mestiere di banca commerciale, quello delle banche italiane; tra le grandissime banche che ci hanno portato alla crisi finanziaria non ce n’è nessuna italiana).

La necessità di avere un nuovo quadro di regole è condivisa dalle banche italiane (anche perché siamo più abituati di altri a contesti legali ampi, complessi e rigorosi), ma deve essere chiaro che vi è la possibilità concreta che l’eventuale eccesso di rigore possa avere conseguenze su sviluppo e crescita, provocando la riduzione – o il maggior costo – delle risorse disponibili per il finanziamento dell’economia; soprattutto se sarà accompagnato da ulteriori vincoli o pesi, come quelli che potrebbe introdurre una nuova, pesante disciplina sugli Schemi di Garanzia per i Depositanti, attualmente contenuta in una Proposta di Direttiva Europea.

E’ inoltre fondamentale che le regole siano applicate a tutti nello stesso modo e con gli stessi tempi, al di qua e al di là degli oceani.

In conclusione, i Capi delle più importanti nazioni, delle più importanti economie del mondo, i principali Banchieri Centrali hanno ritenuto che la cura alla terribile crisi finanziaria che ci ha colpito vada ricercata nel rafforzamento patrimoniale delle banche e nella maggiore attenzione ai diversi tipi di rischio, primo fra tutti quello di liquidità.

E’ una cura volta a far sì che non si ripeta più quanto è successo, che si basa quindi su quanto è successo nel mondo finanziario dal 2007 a oggi. Se le nuove regole entreranno in vigore, potremo capire se le cure erano giuste solo tra molti anni.

Il problema della cura giusta, già di per se complesso, è ancor più complicato dal fatto che oggi stiamo uscendo molto faticosamente da una pesantissima crisi economica e la crisi finanziaria sta colpendo alcuni paesi dell’area euro, quindi non grandi banche ma nazioni.

Dobbiamo tutti augurarci che i nostri Governanti e le nostre Autorità Monetarie siano saggi e lungimiranti.
Camillo Venesio
Presidente Comitato Piccole Banche dell'ABI
Amministratore Delegato della Banca del Piemonte Spa
[1] I membri del Comitato vengono da: Argentina, Australia, Belgium, Brazil, Canada, China, France, Germany, Hong Kong SAR, India, Indonesia, Italy, Japan, Korea, Luxembourg, Mexico, the Netherlands, Russia, Saudi Arabia, Singapore, South Africa, Spain, Sweden, Switzerland, Turkey, United Kingdom e United States
[2] Per es.: se la banca fa un prestito o compra un titolo molto rischioso deve detenere patrimonio a copertura dell’elevato rischio pari al 10% del valore del prestito o del titolo; se fa un prestito o compra un titolo poco rischioso deve detenere patrimonio a copertura pari al 2% del valore del prestito o del titolo.
[3] la Banca d’Italia è stata in questi casi una delle Banche Centrali più prudenti del mondo.
[4] G. Castellino, Lineamenti di Economia Bancaria, Giappichelli Editore, Torino, pag. 84