Orizzonti del Credito

Con il contributo di Banca Interprovinciale

Sido Bonfatti


Sido Bonfatti
Sido Bonfatti, Ordinario di diritto commerciale nell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

LE PARTECIPAZIONI DELLE IMPRESE NELLE BANCHE: PROFILI PRIVATISTICI

Modena, 6 dicembre 2010

1. Il tema della partecipazione delle imprese nelle banche deve essere declinato, nel contesto del presente intervento, nel senso della detenibilità di quote del capitale sociale delle banche da parte di imprese industriali: intendendo per tali le imprese diverse dalle banche, dalle assicurazioni, dalle imprese che prestano servizi di investimento, quindi dalle imprese che la legislazione di settore definisce, sinteticamente, imprese finanziarie.

2. In questo contesto, il tema della partecipazione delle imprese (industriali) al capitale delle banche costituisce una delle due facce della medaglia rappresentata dai rapporti banca-impresa, l’altra essendo costituita dal tema della detenibilità da parte delle banche di partecipazioni al capitale delle imprese (industriali). Per tale ragione, pur essendo specificamente dedicato il presente intervento alla considerazione della disciplina della acquisibilità da parte delle imprese industriali di quote del capitale sociale delle banche, sarà necessario riservare adeguata attenzione anche al fenomeno inverso dei presupposti di ingresso nel capitale delle industrie da parte delle imprese bancarie.

3. I temi posti alla nostra attenzione non sono sempre stati oggetto di una disciplina specifica. Prima della legislazione suggerita dalle crisi economiche degli anni ‘20 e ‘30, i rapporti tra imprese industriali ed imprese bancarie si svolgevano secondo le regole del diritto comune: e, in buona sostanza, non sussistevano ostacoli particolari alla acquisizione del controllo di banche da parte di imprese industriali.

4. In fatto, in determinati momenti di relativa prosperità della nostra economia nazionale, gruppi industriali acquisirono partecipazioni di controllo in Istituti bancari: con la conseguenza che, al mutare delle condizioni economiche e patrimoniali di questi “gruppi” a seguito dei catastrofici effetti della prima guerra mondiale, fu considerato naturale ricercare il sostegno finanziario all’attività delle industrie in crisi proprio nelle banche precedentemente acquisite, che in quanto soggetto al controllo delle industrie (cadute) in crisi, furono indotte a valutare l’esistenza dei presupposti di ulteriore finanziabilità in modo pibenevolo di quel che non sarebbe stato se si fosse trattato di Istituti bancari indipendenti ed autonomi.

5. L’eccessivo sostegno finanziario delle banche alle industrie in crisi, determinato anche dall’intreccio “incestuoso” che vedeva le industrie finanziate esercitare un potere di controllo sul capitale delle banche finanziatrici, fece sì che alla originaria crisi industriale seguisse una anche pimarcata crisi bancaria. Da qui un imponente fenomeno riformatore della legislazione di settore, che portal salvataggio delle piimportanti banche nazionali, attraverso l’accollo allo Stato (con la costituzione, ad esempio, dell’I.R.I.) dei crediti e delle partecipazioni azionarie delle banche nei confronti delle imprese industriali in crisi; e con il corrispondente trasferimento sempre allo Stato dei controlli azionari delle banche, prima detenuti dalle imprese industriali delle quali lo Stato era andato in soccorso.

6. L’insegnamento derivante dai possibili effetti perversi dell’intreccio “incestuoso” tra imprese industriali ed imprese bancarie è comunemente posto alla base del principio c.d. di “separatezza” che caratterizzle leggi bancarie degli anni ‘20 e ‘30, in forza del quale era tendenzialmente vietato, per legge, alle imprese industriali acquisire il controllo di banche (per non essere poi esposte alla tentazione di conseguirne un sostegno finanziario anche “forzato”); ed alle banche di acquisire il controllo di imprese industriali (per non essere esposte al rischio di perdite patrimoniali dirette in caso di “crisi” delle imprese e conseguente abbattimento del valore delle partecipazioni al capitale sociale).

7. Occorre peraltro considerare che nel successivo sviluppo della legislazione in campo bancario il principio di (doppia) “separatezza” venne declinato in modo diverso, secondo che riguardasse le partecipazioni nelle banche, da parte di industrie (partecipazioni “a monte” della banca); oppure che riguardasse il tema delle partecipazioni delle banche in imprese industriali (partecipazioni “a valle” della banca). Il primo tema era disciplinato dalla legge ordinaria (e, in particolare, a far tempo dal 1993, dal “Testo Unico” delle leggi in materia bancaria -T.U.L.B.: d.lgs 1° settembre 1993, n. 385, art. 19 -), la quale vietava l’acquisizione da parte delle imprese industriali di partecipazioni di controllo in imprese bancarie, o comunque superiori ad una determinata percentuale “rilevante” (fissata al 15%) del capitale sociale: con la conseguenza che solo attraverso una legge ordinaria, approvata all’esito di un iter parlamentare di diritto comune (con le complessità che lo caratterizzano), sarebbe stato possibile rimuovere il divieto in parola. L’opposto tema della acquisibilità e detenibilità da parte delle banche di partecipazioni nelle  imprese (anche) industriali, invece, era affidato alla disciplina regolamentare demandata alla Banca d’Italia (attraverso le Istruzioni di Vigilanza con le quali si dettagliano le disposizioni normative la cui traduzione operativa è delegata alla funzione regolamentare dell’Autorità di Vigilanza): con la conseguenza che una “semplice” modificazione delle Istruzioni di Vigilanza, in grado di essere prodotta dagli apparati burocratici della Banca d’Italia anche in pochi giorni -se non in poche ore -, avrebbe potuto apportare innovazioni anche radicali al principio c.d. di “separatezza” a valle della banca.

8. Fu del resto proprio grazie alla flessibilità ed agilità che caratterizzavano la disciplina delle partecipazioni detenibili nelle industrie da parte delle banche, che all’esplosione della gravissima crisi del “Gruppo Ferruzzi”, fortemente indebitato nei confronti del sistema bancario, la Banca d’Italia apportmodificazioni alle Istruzioni di Vigilanza allora in vigore, consentendo l’acquisizione da parte delle banche creditrici del “Gruppo Ferruzzi” del controllo del capitale sociale delle imprese che lo componevano, attraverso la conversione dei crediti bancari in capitale di rischio, che consenti al “gruppo” di riacquisire quell’equilibrio patrimoniale ed economico, che rappresentil presupposto del successivo “salvataggio” industriale.

9. Fino ai giorni nostri era rimasto immutato, invece, nel contenuto e nella fonte regolamentatrice, il principio di separatezza “a monte” dell’impresa  bancaria. Tale principio si inseriva bensì in un contesto normativo comunitario, che subordinava la acquisibilità del controllo di imprese bancarie, da parte di chicchessia, al rispetto delle condizioni di “sana e prudente gestione” della Banca: ma in tale contesto comunitario l’Italia era l’unico Paese che declinava tale regola distinguendo secondo la natura dell’investitore aspirante alla acquisizione del controllo di una banca, e ponendo una sorta di presunzione assoluta di violazione del principio di “sana e prudente gestione” della banca per qualsiasi ipotesi di assunzione del controllo di una società bancaria da parte di una impresa industriale (che rimaneva, come detto, vietata “a prescindere”).

10. In questo contesto è intervenuta l’approvazione della Direttiva Comunitaria 2007/44/CE, alla quale è stata data attuazione in Italia dapprima con il d.-l. n. 185/2008, convertito nella legge n. 2/2009; e successivamente con il d.lgs 27 gennaio 2010, n. 21. Con tali interventi legislativi pudirsi che il principio di (doppia) “separatezza” risulti, anche in Italia, sostanzialmente superato, e certamente, comunque, declinato in termini radicalmente diversi rispetto a quelli nei quali era rappresentato fino a meno di due anni fa.

11. Per ciche concerne i rapporti banca-industria “a valle” della banca (quindi, per ciche concerne la acquisibilità e detenibilità da parte delle banche di partecipazioni nelle imprese industriali), è stata stabilita dal CICR (con delibera n. 276 del 29 luglio 2008) la regola secondo la quale le banche possono acquisire o detenere partecipazioni industriali nel “rispetto della normativa comunitaria”: la quale (art. 120 della menzionata Direttiva 2007/44/CE) stabilisce che la singola partecipazione industriale detenibile da una banca non pusuperare il 15% - non già dell’industria partecipata, bensì - dei fondi propri della banca partecipante. Ne consegue la pacifica acquisibilità (e detenibilità), da parte di una banca, anche del 100% del capitale sociale di una impresa industriale, alla sola condizione che il valore di tale partecipazione non superi il 15% del valore dei mezzi propri della banca.

12. Per ciche concerne i rapporti banca-industria “a monte” della banca (quindi, per ciche concerne la acquisibilità e detenibilità da parte delle industrie di partecipazioni azionarie delle banche), l’art. 14 del d-.l. n. 185/2008, convertito nella legge n. 2/2009, ha abrogato i commi 6 e 7 dell’art. 19 TULB, abrogando così il divieto per le imprese industriali di acquisire partecipazioni di controllo nel capitale sociale delle banche, o comunque partecipazioni superiori al 15% del capitale stesso.

13. Allo stato attuale delle cose, il tema della partecipazione delle imprese industriali al capitale delle banche presenta ancora due profili meritevoli di speciale considerazione: il primo, relativo al confronto tra la disciplina nazionale del fenomeno, derivante dal recepimento della menzionata Direttiva Comunitaria 2007/44/CE, e gli effettivi precetti della Direttiva stessa; il secondo, relativo alla introduzione dei necessari “contrappesi” alla intervenuta liberalizzazione dei rapporti industria-banca (“a monte” della banca), ai fini di assicurare il principio di “sana a prudente gestione” della banca, nei rapporti (che potrebbero ri-diventare “incestuosi”) con le industrie che fossero pervenute ad acquisirne il controllo.

14. Sotto il primo profilo, l’attuale impressione è che la disciplina nazionale del rapporto industria-banca continui ad essere pistringente di quanto non sia stato voluto (e consentito) dalla legislazione comunitaria: come si pucogliere da un rapido confronto delle rispettive disposizioni principali. Secondo la disciplina comunitaria (art. 5 Direttiva 200744/CE),. che apporta modifiche alla precedente Direttiva 2006/48/CE, l’Autorità di Vigilanza (nazionale) puvietare il superamento delle percentuali “rilevanti” nel capitale sociale di una banca (a partire dal 10%), o l’acquisizione del controllo della stessa, quando la qualità del soggetto interessato e la solidità finanziaria della prevista acquisizione abbiano l’attitudine a minare “la gestione sana e prudente dell’ente creditizio”: ma l’indagine deve essere condotta sulla base di criteri tassativi, rispetto ai quali “gli Stati membri non possono imporre requisiti pirigorosi...” (né introdurre requisiti ulteriori o piseveri), rappresentati da:

1) reputazione dell’acquirente; 
2) reputazione ed esperienza delle persone che determineranno l’orientamento dell’attività della banca (“decision maker”); 
3) solidità finanziaria dell’acquirente; 
4) capacità della banca di rispettare e continuare a rispettare i requisiti prudenziali di settore; 
5) esistenza di motivi ragionevoli per sospettare che sia in corso o abbia avuto luogo un’operazione o un tentativo di riciclaggio di proventi di attività illecite o di finanziamento del terrorismo.

Rispetto a tale “decalogo”, la disciplina in vigore in Italia (artt. 19, 22, 23 e 25 TULB) evidenzia le seguenti, principali differenziazioni: 
A) la “reputazione” del candidato acquirente postula il riscontro di precisi requisiti di “onorabilità”, legati alla eventuale presenza di condanne penali per una serie di specifici reati; 
B) i requisiti di “esperienza” (“rectius”: professionalità) sono richiesti per tutti gli esponenti aziendali facenti parte degli organi di direzione, amministrazione e controllo della banca; 
C) l’idoneità della banca a rispettare i requisiti prudenziali di settore è estesa all’intero “gruppo bancario”, di cui la banca interessata fa parte; 
D) l’autorizzazione all’acquisizione di una partecipazione “rilevante” nel capitale sociale di una banca è necessaria anche nell’ipotesi di acquisizione del controllo “derivante da un contratto con la banca o da una clausola del suo Statuto” (art. 19, co. 8-bis): il chè richiama l’attenzione sulla particolare estensione della nozione di “controllo” rilevante in campo bancario, come emerge dalla considerazione della relativa definizione affidata all’art. 23 TULB [1]
E) la disciplina autorizzatoria all’acquisizione di partecipazioni “rilevanti” al capitale delle banche è applicabile anche (alle partecipazioni acquisite “per il tramite di società controllate, di società fiduciarie o per interposta persona” - art. 22, co. 1, TULB -; nonché alle operazioni di acquisizione “da parte di più soggetti che, in base ad accordi in qualsiasi forma conclusi, intendano esercitare in modo concertato i relativi diritti, quando tali partecipazioni, cumulativamente considerate, raggiungono o superano le soglie” rilevanti (art. 22, co. 1-bis, TULB, introdotto dall’art. 1, co. 1, lett. f), n. 2), d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 21).

15. Sono dunque evidenti i profili di maggior rigore della disciplina nazionale della acquisizione di partecipazioni rilevanti e/o di controllo in una impresa bancaria. Ciprobabilmente si spiega (o comunque si giustifica) con la considerazione del secondo dei temi sopra segnalati, rappresentato dalla (in)sussistenza di adeguati “contrappesi” alla eliminazione del divieto dell’acquisizione del controllo di una banca da parte delle imprese industriali. Attualmente la disciplina in vigore (derivante dalla Delibera CICR n. 277/2008) prevede una limitazione alla assunzione di “attività di rischio” nei confronti di “soggetti collegati”, da parte di una impresa bancaria, legata ad una percentuale abbastanza elevata (20%) dei “fondi propri” della banca stessa. Dal mese di maggio 2010, peraltro, è in consultazione -in vista di una imminente approvazione -un documento della Banca d’Italia (“Attività di rischio e conflitti di interesse delle banche e dei gruppi bancari nei confronti di soggetto collegati”) nel quale si prevede la determinazione delle soglie quantitative di assumibilità di “attività di rischio” nei confronti delle “parti correlate” della banca, attraverso la distinzione della natura di tali soggetti, e precisamente con riguardo alla circostanza che essi abbiano “natura non finanziaria[2].

E’ evidente che in questo modo il pericolo di “intrecci incestuosi” tra industria e banca in funzione di prevenzione della creazione di legami di interpendenza economica e finanziaria troppo stringenti sarà affidato ad uno speciale contenimento dei limiti quantitativi all’ammontare delle attività di rischio assumibili nei confronti di “soggetti collegati” aventi natura industriale, in luogo dell’originario strumento incentrato sulle limitazioni alla composizione degli assetti proprietari delle banche.
Sido Bonfatti
Ordinario di diritto commerciale
nell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
[1] Art. 23 TULB: “ 1. Ai fini del presente capo il controllo sussiste, anche con riferimento a soggetti diversi dalle società, nei casi previsti dall’articolo 2359, commi primo e secondo, del codice civile e in presenza di contratto o di clausole statutarie che abbiano per oggetto o per effetto il potere di esercitare l’attività di direzione e coordinamento (comma così modificato dall’art. 40, d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310). 2. Il controllo si considera esistente nella forma dell’influenza dominante, salvo prova contraria, allorchè ricorra una delle seguenti situazioni: 1) esistenza di un soggetto che, sulla base di accordi, ha il diritto di nominare o revocare la maggioranza degli amministratori o del consiglio di sorveglianza ovvero dispone da solo della maggioranza dei voti ai fini delle deliberazioni relative alle materia di cui agli articoli 2364 e 2364-bis del codice civile; 2) possesso di partecipazioni idonee a consentire la nomina o la revoca della maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza; 3) sussistenza di rapporti, anche tra soci, di carattere finanziario ed organizzativo idonei a conseguire uno dei seguenti effetti: a) la trasmissione degli utili o delle perdite; b) il coordinamento della gestione dell’impresa con quella di altre imprese ai fini del perseguimento di uno scopo comune; l’attribuzione di poteri maggiori rispetto a quelli derivanti dalle partecipazioni possedute; d) l’attribuzione, a soggetti diversi da quelli legittimati in base alla titolarità delle partecipazioni, di poteri nella scelta degli amministratori o dei componenti del consiglio di sorveglianza o dei dirigenti delle imprese. 4) assoggettamento a direzione comunque, in base alla composizione degli organi amministrativi o per altri concordanti elementi”.

[2] La natura “non finanziaria” è determinata dalla circostanza che le attività diverse dall’attività bancaria, finanziaria e assicurativa superino il 50% delle attività complessive dell’investitore.