Considerazioni sparse sui Maestri del ‘900
Ringrazio innanzi tutto il Prof. Vignudelli – fondatore e direttore di Lo Stato – e l’amico carissimo Giuseppe Morbidelli, Presidente di CESIFIN, per l’invito a partecipare ai festeggiamenti per il decimo anniversario della Rivista.
La felice sopravvivenza per un decennio di una rivista semestrale, in formato cartaceo, tipicamente una raffinata rivista di approfondimento e di dibattito, in un’epoca dominata dal web, nella quale sempre più spesso la conoscenza viaggia online e si consuma con estrema rapidità, dev’essere davvero un’impresa difficile.
Desidero quindi per prima cosa rallegrarmi per i primi dieci anni di vita di questa Rivista, e per il suo ottimo stato di salute, e complimentarmi con il Professor Vignudelli, con il Comitato di redazione, e con l’ampio e assai rappresentativo Comitato scientifico, formato da alcune eminenti figure di studiosi italiani e stranieri, per il successo che hanno dimostrato di saper conseguire.
Vengo poi a dire qualcosa della rivista. In particolare, mi è stato chiesto di parlare di una sezione, ossia la sezione dedicata ai Maestri del Novecento, che non inizia con il primo fascicolo della Rivista, ma dopo i primi numeri. Tuttavia, spero che mi consentirete di svolgere qualche altra breve osservazione su un periodico, che ha certamente nella sezione appena citata una delle sue caratteristiche più originali, ma che offre molteplici spunti di interesse.
Cerchiamo dunque di individuare quelle che a mio parere sono alcune delle ragioni della vitalità della Rivista.
In primo luogo, è una rivista che rifugge dal contingente, dall’immediatezza, è piuttosto, come ho già detto poco sopra, una rivista di approfondimento, su temi classici, ma senza trascurare temi di attualità, il che non può non essere una caratteristica fondamentale di un periodico semestrale. Anzi, mano a mano che la rivista si consolida, si arricchisce di temi legati alla contemporaneità (abbastanza frequenti gli interventi sulla digitalizzazione, fino al gioco d’azzardo nell’era digitale – vol. 17). Mi pare da segnalare che gli autori dei contributi non sono solo italiani e i contributi non sono solo necessariamente originali (nel vol.17 vengono ad esempio riproposti due scritti di Bobbio pubblicati la prima volta nel 1945, e di nuovo in una raccolta del 1996), ma funzionali a un dibattito che si snoda sulle pagine della rivista (v. Jori, Guastini, 16, 17): in ogni caso si tratta comunque di autori e scritti sempre di primissimo piano, che meritano di essere riproposti alla platea dei lettori.
In secondo luogo, la rivista si caratterizza per la presenza abbastanza regolare di un genere letterario ancora non frequente: l’intervista. In proposito sono da sottolineare due aspetti. Da un lato l’intervista è di norma condotta dal Prof. Federico Pedrini, dell’Università di Modena Reggio Emilia, autore assai colto e preparato della più parte delle interviste – non solo a giuristi – apparse nell’ormai lunga storia della Rivista (la sua prima intervista, al filosofo Emanuele Severino, risale al 2013, e compare nel primo fascicolo); ciò indubbiamente porta ad una positiva sensibile uniformità di stile delle interviste. In secondo luogo, le interviste colpiscono perché si tratta in realtà di veri e propri saggi, nei quali l’intervistatore non si limita a porre domande, ma piuttosto dialoga con l’intervistato, sorretto da uno studio preliminare attento e approfondito della sua opera. Esemplare in questo senso è l’intervista a Rodolfo Sacco del 2017, in cui Federico Pedrini, che confessa con sincerità di avere dovuto studiare quello che per lui era il poco noto Sacco comparatista, riesce a stimolare Sacco e a ricostruire insieme a lui per il lettore una summa del suo pensiero e delle sue idee in tema di comparazione giuridica. Del pari, le cinquanta e più pagine dell’intervista a Paolo Grossi del 2020 costituiscono un’analisi completa di tutte le sfaccettature degli interessi di Grossi e del suo percorso intellettuale fondativo di una nuova concezione di storia del diritto, elaborata anche con il contributo di una Scuola, ricchissima di ingegni, frutto prezioso delle grandi capacità didattiche e attrattive di Paolo. Naturalmente ho voluto ricordare le interviste a due figure eminenti, a me particolarmente note e care, ma tutte le interviste ad altri personaggi, pur di altissimo livello, che però conosco meno, seguono la medesima linea ispiratrice: e sono tante, praticamente una ogni fascicolo della rivista.
Ma veniamo ora ai Maestri del Novecento. Anche questa è una sezione originale de Lo Stato, che si trova raramente nelle altre riviste giuridiche, dove può occasionalmente comparire il ricordo di qualche grande giurista scomparso ma dove è assente la riflessione regolare sui Maestri del Novecento. Devo dire subito che ho molto apprezzato l’idea, ritrovandovi fra l’altro una mia idea che ho recentemente suggerito agli editors di un’altra rivista. Mi riferisco a “La Nuova Giuridica. Florence Law Review”, una rivista online open access, inaugurata nel 2022, una delle poche in Italia gestite da studenti sul modello statunitense, con la supervisione di un professore del Dipartimento, con periodicità semestrale. La rivista è tematica, ogni fascicolo è cioè dedicato a un tema (Comunità; Persona; Autorità/Libertà; Tecnica…). Ho suggerito ai rappresentanti del corpo editoriale della rivista di pubblicare in ogni fascicolo un saggio su uno dei Maestri che hanno contributo a costruire il prestigio della facoltà fiorentina. In fondo, mi sembrava giusto che gli studenti di oggi apprendessero dalle pagine della loro rivista la storia della loro facoltà attraverso il ritratto dei Maestri che ci hanno insegnato. Naturalmente, il mio suggerimento non si indirizzava ai professori di oggi, e nemmeno a quelli della mia generazione, quanto piuttosto a quei grandi maestri del Novecento, che tenevano cattedra negli anni che mi hanno visto studente, o addirittura prima. Ad esempio, ho scritto con piacere un pezzo sul ruolo che ha avuto il mio Maestro, Mauro Cappelletti, nella crescita della fama della facoltà fiorentina.
Ricca è la galleria dei Maestri che si susseguono nelle pagine della Rivista. Ad alcuni, come a Giuseppe Tesauro, sono dedicati molti contributi, in ragione, penso, delle tante cariche istituzionali di cui via via è stato titolare, e anche della varietà dei suoi interessi scientifici. A lui sono dedicati ben otto articoli, oltre all’editoriale di apertura del Direttore della Rivista. E del resto, Giuseppe Tesauro è stato accademico e scienziato del diritto internazionale prima di diventare uno dei padri fondatori, direi, del diritto comunitario (in queste vesti lo ricordano, rispettivamente, Bruno Nascimbene e Sergio Carbone, mentre Roberto Mastroianni si occupa del ruolo che Giuseppe Tesauro ha avuto nella diffusione del diritto dell’Unione europea); è stato Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (in questo ruolo ricordato da Marco D’Alberti, che fra l’altro durante la sua Presidenza, fu membro della stessa Autorità); è stato Avvocato Generale presso la Corte di giustizia delle Comunità europee (in questa veste ricordato da Antonio Tizzano); infine è stato giudice della Corte costituzionale e poi Presidente della stessa (su questa esperienza ha scritto uno dei suoi successori, il Presidente Coraggio), ricordato, fra l’altro come padre di alcune sentenze che sono entrate nella storia della Corte soprattutto con riferimento ai rapporti fra diritto interno e diritto sovranazionale. In particolare, si fa riferimento alla sentenza n. 349 del 2007 (una delle famose “sentenze gemelle”, di cui Tesauro è stato relatore, che ha aperto le porte alle fonti sovranazionali, e in particolare la CEDU, in funzione della massima espansione possibile dei diritti umani; e alla sentenza n. 238 del 2014 (in cui Tesauro figura come estensore e come Presidente) che, richiamandosi alla teoria dei contro limiti ha impedito l’ingresso nell’ordinamento a atti o consuetudini sovranazionali che pregiudichino i “principi supremi” della Costituzione – comportando un’attenuazione della protezione dei diritti fondamentali, il cui primato viene invece così salvaguardato.
Altro notissimo giurista cui vengono dedicati vari contributi è Franco Cordero. Anche qui ci troviamo di fronte a un ingegno poliedrico, che non è solo giurista, diversamente dal caso di Giuseppe Tesauro. Così, Renzo Orlandi ci ricorda il processualpenalista, che, come è noto, fu allontanato dall’Università Cattolica di Milano per aver pubblicato un manuale per il corso di Filosofia del diritto, materia di cui aveva l’incarico di insegnamento, dal titolo “Gli osservanti. Fenomenologia delle norme”, giudicato dalle gerarchie cattoliche come troppo laico e materialista, e marcato da un uso pericoloso di fonti eterodosse. La causa che ne seguì arrivò di fronte alla Corte costituzionale, che tuttavia dette ragione alla Cattolica, sul presupposto che la libertà di insegnamento cede di fronte all’esigenza di salvaguardare le finalità religiose dell’ente, costringendo Cordero a trasferirsi prima a Torino e poi alla Sapienza. Giorgio Pino ricorda il filosofo; Italo Birocchi lo storico. Ma, come si è detto, Cordero non è stato solo giurista: è stato romanziere, fra l’altro molto prolifico, e molto apprezzato, se la sua prima e forse più celebre opera, “Genus”, risultò vincitrice, nel 1969, del Premio Viareggio Opera Prima. Ma Cordero è stato anche giornalista, e in quella veste lo ricorda Ezio Mauro, già Direttore, e oggi editorialista di Repubblica.
Consentitemi infine di ricordare almeno alcuni fra i tanti fiorentini che la rivista onora fra I Maestri del 900. Stefano Merlini ricorda Piero Calamandrei certamente uno dei personaggi più eminenti della storia politica e giuridica del nostro Paese, grande studioso e grande avvocato, processualcivilista e costituzionalista, collaborò da “tecnico” alla riforma del 1942 del codice di procedura civile e partecipò, eletto nella lista di Unità Socialista, all’Assemblea costituente, della quale fu uno dei protagonisti, impegnandosi a fondo nella progettazione del nuovo ordinamento e successivamente nella sua attuazione che tardava a venire. È stato anche Rettore dell’Ateneo fiorentino, e ha fondato il Partito d’Azione. È stato Maestro di molti che vengono ricordati sulle pagine de Lo Stato, da Paolo Barile (insieme al quale fra l’altro, discusse e vinse la prima causa portata di fronte alla Corte costituzionale – sentenza n. 1/1956 – che, convinta dalla sua tesi, stabilì di potersi pronunciare anche sulle leggi anteriori all’entrata in vigore della Costituzione), a Alberto Predieri a Mauro Cappelletti, che a loro volta crearono scuole fiorenti che ancora oggi si richiamano su per li rami agli insegnamenti di Calamandrei.
Un ricordo particolare a Paolo Barile lo dedica il suo primo allievo, Enzo Cheli, così come Giuseppe Morbidelli lo dedica ad Alberto Predieri. Ovviamente ambedue ricordano il legame che li unì, auspice il rapporto che fra loro e altri si creò con e intorno a Piero Calamandrei.
Prima magistrato e poi, dal 1947, avvocato, Paolo Barile iniziò a seguire Calamandrei anche nell’attività didattica e scientifica. Ebbe l’incarico di diritto costituzionale a Siena e scrisse un paio di monografie “La costituzione come norma giuridica” e “Il soggetto privato nella costituzione italiana” che gli valsero la cattedra prima a Siena e, dal 1963, a Firenze, dove rimase fino al pensionamento nel 1992, anche se questo non significò per Barile la fine della sua attività scientifica e professionale. Fra i temi più cari a Barile, autore fra l’altro di un pregevole manuale di Istituzioni di diritto pubblico, sono i diritti e le libertà fondamentali. Ad essi e alle singole libertà, Barile dedicò molti scritti dalla voce sull’”Enciclopedia del Diritto” dedicata alla libertà di manifestazione del pensiero ai tanti contributi su libertà religiosa, di insegnamento, di domicilio. Su di esse, come sui diritti di terza generazione, molti sono anche i contributi che Barile ha pubblicato su importanti quotidiani quali soprattutto “La repubblica”, o periodici come “Il ponte”, fondato da Piero Calamandrei. Barile, come del resto Calamandrei, è stato chiamato a svolgere numerose attività istituzionali a livello locale ma anche nazionale, fino a diventare Ministro per i rapporti con il Parlamento nel Governo Ciampi.
Giuseppe Morbidelli ricorda Alberto Predieri in un lungo saggio dal quale traspare tutta l’ammirazione e anche tutto l’affetto che l’allievo riserva al Maestro, al giurista combattente come lo chiama anche in altri luoghi, con un duplice significato. È l’uomo che combatté con coraggio nella campagna di Russia, dove purtroppo subì il congelamento del piede sinistro, e come partigiano di Giustizia e Libertà. Ma è combattente, scrive Morbidelli, anche perché «gli studi di Alberto sono sempre finalizzati a combattere inadempienze, storture giuridiche e sociali, iniquità, ingiustizie, carenze» (p. 498). Predieri, come è noto, è stato anche un grande avvocato, che porterà a compimento transazioni di notevole importanza e rilievo nazionale riguardanti quotidiani come Corriere della Sera e Repubblica e case editrici come Mondadori e Sansoni, ecc., che sarà amministratore di importanti società, e sarà infine Commissario liquidatore dell’Efim. Sul piano scientifico, i suoi contributi svariano su tutti i campi del diritto, dalla Presidenza del Consiglio al Parlamento, dalla Banca d’Italia all’Euro alla tutela del paesaggio alle autorità amministrative indipendenti. A me piace ricordare qui le due opere che conosco di più: la prima è “Pianificazione e costituzione” che Giuseppe giustamente definisce un classico, e “Shaarîa e costituzione” che, come comparatista, ha suscitato in me un grande interesse aiutandomi a entrare in un nodo non semplice del diritto dei paesi islamici, legati dal diritto comune della shaarîa, superiore a tutte le altre fonti.
Gli altri Maestri fiorentini ricordati dalla Rivista e che anche io vorrei ricordare sono Paolo Grossi, e il suo allievo Maurizio Fioravanti.
Tutto quello che è stato ed ha significato Paolo Grossi non può essere riassunto in poche righe: e infatti stanno fiorendo gli scritti che lo ricordano, ben tre negli ultimi due fascicoli de Lo Stato, rispettivamente di Alpa, Luciani, e Morbidelli. Certamente Paolo Grossi ha rifondato la Storia del diritto italiano che con lui e la sua scuola è diventata storia del pensiero giuridico medievale e moderno. Come scrive Guido Alpa, Paolo Grossi ci ha insegnato che il diritto non si può ridurre alla legge e che quest’ultima non può ridursi alla produzione statuale (p. 309); che «il diritto può essere compreso in tutta la sua complessità solo se collocato in una dimensione pluralistica, che non si riduce entro i confini angusti e statalisti della legge e deve inoltre essere collocato nella cornice storica da cui trae vita e alimento» (p. 311).
Paolo Grossi è stato insignito di lauree e dottorati h.c. in alcune fra le più prestigiose università del mondo; è stato Accademico dei Lincei, della Crusca e di molte altre accademie; è stato giudice della Corte costituzionale dal 2009 e Presidente della stessa negli ultimi due anni del mandato. Fra le tante iniziative assunte in quest’ultima veste vanno ricordate, intese come sono state a diffondere la conoscenza della Costituzione e della Corte, le visite dei giudici nelle scuole superiori italiane. È stato autore di centinaia di scritti, volumi e saggi, ha fondato una Scuola dalla quale sono usciti numerosi allievi tutti di grande prestigio, tutti destinati a diventare maestri, raccolti intorno al Centro per la Storia del pensiero giuridico moderno fondato da Paolo, da cui sono scaturiti, sempre da lui fondati, un periodico, i “Quaderni fiorentini” (arrivati al 51° numero) e la “Biblioteca”, di cui è appena uscito il 137° volume.
Paolo Grossi nasce come storico del diritto privato, ma il suo orizzonte si allarga, anche, ma non solo a seguito degli incarichi da lui avuti, ai temi della Costituzione, della legalità costituzionale, della Corte, dell’interpretazione, dei giudici e dei giuristi, della crisi della legge e del suo monopolio nel quadro delle fonti del diritto. Paolo Grossi è stato un grande scrittore e oratore, dallo stile personalissimo e raffinato, ed è stato un grande professore, capace di tenere avvinto lo studente (e, perché no? il collega) con le sue parole. Posso concludere queste poche righe affermando con convinzione che Paolo Grossi è stato uno dei grandi Maestri del 900, Maestro di tutti noi.
Non avrei voluto includere Maurizio Fioravanti, allievo di Paolo Grossi, venuto inopinatamente a mancare poco più di un mese dopo di lui, fra i Maestri del Novecento (come tale ricordato su Lo Stato, con stima e affetto, da Pietro Costa, collega e amico), non perché non meriti di essere considerato tale, ma perché la sua scomparsa è stata davvero inaspettata e improvvisa, pur dopo una lunga crudele malattia, che peraltro non è riuscita neppure a scalfire le sue grandi capacità di studioso. Aveva solo 70 anni, era un Collega ma anche soprattutto un amico caro, è stato mio successore come Preside della facoltà fiorentina nel 1993, abbiamo collaborato con altri colleghi di Ateneo alla stesura del primo Statuto della nostra università. Ha scritto molto, molte opere pregevoli di storia (e diritto) costituzionale, anche negli ultimi anni, nonostante la malattia, con aperture comparative che me lo rendevano particolarmente congeniale. Mi addolora davvero vedere il suo nome oggi inserito fra i “Maestri del Novecento”. Che piacere sarebbe stato, invece, parlare non di lui, ma con lui, attraverso, ad esempio, una delle magistrali interviste di Federico Pedrini.
La felice sopravvivenza per un decennio di una rivista semestrale, in formato cartaceo, tipicamente una raffinata rivista di approfondimento e di dibattito, in un’epoca dominata dal web, nella quale sempre più spesso la conoscenza viaggia online e si consuma con estrema rapidità, dev’essere davvero un’impresa difficile.
Desidero quindi per prima cosa rallegrarmi per i primi dieci anni di vita di questa Rivista, e per il suo ottimo stato di salute, e complimentarmi con il Professor Vignudelli, con il Comitato di redazione, e con l’ampio e assai rappresentativo Comitato scientifico, formato da alcune eminenti figure di studiosi italiani e stranieri, per il successo che hanno dimostrato di saper conseguire.
Vengo poi a dire qualcosa della rivista. In particolare, mi è stato chiesto di parlare di una sezione, ossia la sezione dedicata ai Maestri del Novecento, che non inizia con il primo fascicolo della Rivista, ma dopo i primi numeri. Tuttavia, spero che mi consentirete di svolgere qualche altra breve osservazione su un periodico, che ha certamente nella sezione appena citata una delle sue caratteristiche più originali, ma che offre molteplici spunti di interesse.
Cerchiamo dunque di individuare quelle che a mio parere sono alcune delle ragioni della vitalità della Rivista.
In primo luogo, è una rivista che rifugge dal contingente, dall’immediatezza, è piuttosto, come ho già detto poco sopra, una rivista di approfondimento, su temi classici, ma senza trascurare temi di attualità, il che non può non essere una caratteristica fondamentale di un periodico semestrale. Anzi, mano a mano che la rivista si consolida, si arricchisce di temi legati alla contemporaneità (abbastanza frequenti gli interventi sulla digitalizzazione, fino al gioco d’azzardo nell’era digitale – vol. 17). Mi pare da segnalare che gli autori dei contributi non sono solo italiani e i contributi non sono solo necessariamente originali (nel vol.17 vengono ad esempio riproposti due scritti di Bobbio pubblicati la prima volta nel 1945, e di nuovo in una raccolta del 1996), ma funzionali a un dibattito che si snoda sulle pagine della rivista (v. Jori, Guastini, 16, 17): in ogni caso si tratta comunque di autori e scritti sempre di primissimo piano, che meritano di essere riproposti alla platea dei lettori.
In secondo luogo, la rivista si caratterizza per la presenza abbastanza regolare di un genere letterario ancora non frequente: l’intervista. In proposito sono da sottolineare due aspetti. Da un lato l’intervista è di norma condotta dal Prof. Federico Pedrini, dell’Università di Modena Reggio Emilia, autore assai colto e preparato della più parte delle interviste – non solo a giuristi – apparse nell’ormai lunga storia della Rivista (la sua prima intervista, al filosofo Emanuele Severino, risale al 2013, e compare nel primo fascicolo); ciò indubbiamente porta ad una positiva sensibile uniformità di stile delle interviste. In secondo luogo, le interviste colpiscono perché si tratta in realtà di veri e propri saggi, nei quali l’intervistatore non si limita a porre domande, ma piuttosto dialoga con l’intervistato, sorretto da uno studio preliminare attento e approfondito della sua opera. Esemplare in questo senso è l’intervista a Rodolfo Sacco del 2017, in cui Federico Pedrini, che confessa con sincerità di avere dovuto studiare quello che per lui era il poco noto Sacco comparatista, riesce a stimolare Sacco e a ricostruire insieme a lui per il lettore una summa del suo pensiero e delle sue idee in tema di comparazione giuridica. Del pari, le cinquanta e più pagine dell’intervista a Paolo Grossi del 2020 costituiscono un’analisi completa di tutte le sfaccettature degli interessi di Grossi e del suo percorso intellettuale fondativo di una nuova concezione di storia del diritto, elaborata anche con il contributo di una Scuola, ricchissima di ingegni, frutto prezioso delle grandi capacità didattiche e attrattive di Paolo. Naturalmente ho voluto ricordare le interviste a due figure eminenti, a me particolarmente note e care, ma tutte le interviste ad altri personaggi, pur di altissimo livello, che però conosco meno, seguono la medesima linea ispiratrice: e sono tante, praticamente una ogni fascicolo della rivista.
Ma veniamo ora ai Maestri del Novecento. Anche questa è una sezione originale de Lo Stato, che si trova raramente nelle altre riviste giuridiche, dove può occasionalmente comparire il ricordo di qualche grande giurista scomparso ma dove è assente la riflessione regolare sui Maestri del Novecento. Devo dire subito che ho molto apprezzato l’idea, ritrovandovi fra l’altro una mia idea che ho recentemente suggerito agli editors di un’altra rivista. Mi riferisco a “La Nuova Giuridica. Florence Law Review”, una rivista online open access, inaugurata nel 2022, una delle poche in Italia gestite da studenti sul modello statunitense, con la supervisione di un professore del Dipartimento, con periodicità semestrale. La rivista è tematica, ogni fascicolo è cioè dedicato a un tema (Comunità; Persona; Autorità/Libertà; Tecnica…). Ho suggerito ai rappresentanti del corpo editoriale della rivista di pubblicare in ogni fascicolo un saggio su uno dei Maestri che hanno contributo a costruire il prestigio della facoltà fiorentina. In fondo, mi sembrava giusto che gli studenti di oggi apprendessero dalle pagine della loro rivista la storia della loro facoltà attraverso il ritratto dei Maestri che ci hanno insegnato. Naturalmente, il mio suggerimento non si indirizzava ai professori di oggi, e nemmeno a quelli della mia generazione, quanto piuttosto a quei grandi maestri del Novecento, che tenevano cattedra negli anni che mi hanno visto studente, o addirittura prima. Ad esempio, ho scritto con piacere un pezzo sul ruolo che ha avuto il mio Maestro, Mauro Cappelletti, nella crescita della fama della facoltà fiorentina.
Ricca è la galleria dei Maestri che si susseguono nelle pagine della Rivista. Ad alcuni, come a Giuseppe Tesauro, sono dedicati molti contributi, in ragione, penso, delle tante cariche istituzionali di cui via via è stato titolare, e anche della varietà dei suoi interessi scientifici. A lui sono dedicati ben otto articoli, oltre all’editoriale di apertura del Direttore della Rivista. E del resto, Giuseppe Tesauro è stato accademico e scienziato del diritto internazionale prima di diventare uno dei padri fondatori, direi, del diritto comunitario (in queste vesti lo ricordano, rispettivamente, Bruno Nascimbene e Sergio Carbone, mentre Roberto Mastroianni si occupa del ruolo che Giuseppe Tesauro ha avuto nella diffusione del diritto dell’Unione europea); è stato Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (in questo ruolo ricordato da Marco D’Alberti, che fra l’altro durante la sua Presidenza, fu membro della stessa Autorità); è stato Avvocato Generale presso la Corte di giustizia delle Comunità europee (in questa veste ricordato da Antonio Tizzano); infine è stato giudice della Corte costituzionale e poi Presidente della stessa (su questa esperienza ha scritto uno dei suoi successori, il Presidente Coraggio), ricordato, fra l’altro come padre di alcune sentenze che sono entrate nella storia della Corte soprattutto con riferimento ai rapporti fra diritto interno e diritto sovranazionale. In particolare, si fa riferimento alla sentenza n. 349 del 2007 (una delle famose “sentenze gemelle”, di cui Tesauro è stato relatore, che ha aperto le porte alle fonti sovranazionali, e in particolare la CEDU, in funzione della massima espansione possibile dei diritti umani; e alla sentenza n. 238 del 2014 (in cui Tesauro figura come estensore e come Presidente) che, richiamandosi alla teoria dei contro limiti ha impedito l’ingresso nell’ordinamento a atti o consuetudini sovranazionali che pregiudichino i “principi supremi” della Costituzione – comportando un’attenuazione della protezione dei diritti fondamentali, il cui primato viene invece così salvaguardato.
Altro notissimo giurista cui vengono dedicati vari contributi è Franco Cordero. Anche qui ci troviamo di fronte a un ingegno poliedrico, che non è solo giurista, diversamente dal caso di Giuseppe Tesauro. Così, Renzo Orlandi ci ricorda il processualpenalista, che, come è noto, fu allontanato dall’Università Cattolica di Milano per aver pubblicato un manuale per il corso di Filosofia del diritto, materia di cui aveva l’incarico di insegnamento, dal titolo “Gli osservanti. Fenomenologia delle norme”, giudicato dalle gerarchie cattoliche come troppo laico e materialista, e marcato da un uso pericoloso di fonti eterodosse. La causa che ne seguì arrivò di fronte alla Corte costituzionale, che tuttavia dette ragione alla Cattolica, sul presupposto che la libertà di insegnamento cede di fronte all’esigenza di salvaguardare le finalità religiose dell’ente, costringendo Cordero a trasferirsi prima a Torino e poi alla Sapienza. Giorgio Pino ricorda il filosofo; Italo Birocchi lo storico. Ma, come si è detto, Cordero non è stato solo giurista: è stato romanziere, fra l’altro molto prolifico, e molto apprezzato, se la sua prima e forse più celebre opera, “Genus”, risultò vincitrice, nel 1969, del Premio Viareggio Opera Prima. Ma Cordero è stato anche giornalista, e in quella veste lo ricorda Ezio Mauro, già Direttore, e oggi editorialista di Repubblica.
Consentitemi infine di ricordare almeno alcuni fra i tanti fiorentini che la rivista onora fra I Maestri del 900. Stefano Merlini ricorda Piero Calamandrei certamente uno dei personaggi più eminenti della storia politica e giuridica del nostro Paese, grande studioso e grande avvocato, processualcivilista e costituzionalista, collaborò da “tecnico” alla riforma del 1942 del codice di procedura civile e partecipò, eletto nella lista di Unità Socialista, all’Assemblea costituente, della quale fu uno dei protagonisti, impegnandosi a fondo nella progettazione del nuovo ordinamento e successivamente nella sua attuazione che tardava a venire. È stato anche Rettore dell’Ateneo fiorentino, e ha fondato il Partito d’Azione. È stato Maestro di molti che vengono ricordati sulle pagine de Lo Stato, da Paolo Barile (insieme al quale fra l’altro, discusse e vinse la prima causa portata di fronte alla Corte costituzionale – sentenza n. 1/1956 – che, convinta dalla sua tesi, stabilì di potersi pronunciare anche sulle leggi anteriori all’entrata in vigore della Costituzione), a Alberto Predieri a Mauro Cappelletti, che a loro volta crearono scuole fiorenti che ancora oggi si richiamano su per li rami agli insegnamenti di Calamandrei.
Un ricordo particolare a Paolo Barile lo dedica il suo primo allievo, Enzo Cheli, così come Giuseppe Morbidelli lo dedica ad Alberto Predieri. Ovviamente ambedue ricordano il legame che li unì, auspice il rapporto che fra loro e altri si creò con e intorno a Piero Calamandrei.
Prima magistrato e poi, dal 1947, avvocato, Paolo Barile iniziò a seguire Calamandrei anche nell’attività didattica e scientifica. Ebbe l’incarico di diritto costituzionale a Siena e scrisse un paio di monografie “La costituzione come norma giuridica” e “Il soggetto privato nella costituzione italiana” che gli valsero la cattedra prima a Siena e, dal 1963, a Firenze, dove rimase fino al pensionamento nel 1992, anche se questo non significò per Barile la fine della sua attività scientifica e professionale. Fra i temi più cari a Barile, autore fra l’altro di un pregevole manuale di Istituzioni di diritto pubblico, sono i diritti e le libertà fondamentali. Ad essi e alle singole libertà, Barile dedicò molti scritti dalla voce sull’”Enciclopedia del Diritto” dedicata alla libertà di manifestazione del pensiero ai tanti contributi su libertà religiosa, di insegnamento, di domicilio. Su di esse, come sui diritti di terza generazione, molti sono anche i contributi che Barile ha pubblicato su importanti quotidiani quali soprattutto “La repubblica”, o periodici come “Il ponte”, fondato da Piero Calamandrei. Barile, come del resto Calamandrei, è stato chiamato a svolgere numerose attività istituzionali a livello locale ma anche nazionale, fino a diventare Ministro per i rapporti con il Parlamento nel Governo Ciampi.
Giuseppe Morbidelli ricorda Alberto Predieri in un lungo saggio dal quale traspare tutta l’ammirazione e anche tutto l’affetto che l’allievo riserva al Maestro, al giurista combattente come lo chiama anche in altri luoghi, con un duplice significato. È l’uomo che combatté con coraggio nella campagna di Russia, dove purtroppo subì il congelamento del piede sinistro, e come partigiano di Giustizia e Libertà. Ma è combattente, scrive Morbidelli, anche perché «gli studi di Alberto sono sempre finalizzati a combattere inadempienze, storture giuridiche e sociali, iniquità, ingiustizie, carenze» (p. 498). Predieri, come è noto, è stato anche un grande avvocato, che porterà a compimento transazioni di notevole importanza e rilievo nazionale riguardanti quotidiani come Corriere della Sera e Repubblica e case editrici come Mondadori e Sansoni, ecc., che sarà amministratore di importanti società, e sarà infine Commissario liquidatore dell’Efim. Sul piano scientifico, i suoi contributi svariano su tutti i campi del diritto, dalla Presidenza del Consiglio al Parlamento, dalla Banca d’Italia all’Euro alla tutela del paesaggio alle autorità amministrative indipendenti. A me piace ricordare qui le due opere che conosco di più: la prima è “Pianificazione e costituzione” che Giuseppe giustamente definisce un classico, e “Shaarîa e costituzione” che, come comparatista, ha suscitato in me un grande interesse aiutandomi a entrare in un nodo non semplice del diritto dei paesi islamici, legati dal diritto comune della shaarîa, superiore a tutte le altre fonti.
Gli altri Maestri fiorentini ricordati dalla Rivista e che anche io vorrei ricordare sono Paolo Grossi, e il suo allievo Maurizio Fioravanti.
Tutto quello che è stato ed ha significato Paolo Grossi non può essere riassunto in poche righe: e infatti stanno fiorendo gli scritti che lo ricordano, ben tre negli ultimi due fascicoli de Lo Stato, rispettivamente di Alpa, Luciani, e Morbidelli. Certamente Paolo Grossi ha rifondato la Storia del diritto italiano che con lui e la sua scuola è diventata storia del pensiero giuridico medievale e moderno. Come scrive Guido Alpa, Paolo Grossi ci ha insegnato che il diritto non si può ridurre alla legge e che quest’ultima non può ridursi alla produzione statuale (p. 309); che «il diritto può essere compreso in tutta la sua complessità solo se collocato in una dimensione pluralistica, che non si riduce entro i confini angusti e statalisti della legge e deve inoltre essere collocato nella cornice storica da cui trae vita e alimento» (p. 311).
Paolo Grossi è stato insignito di lauree e dottorati h.c. in alcune fra le più prestigiose università del mondo; è stato Accademico dei Lincei, della Crusca e di molte altre accademie; è stato giudice della Corte costituzionale dal 2009 e Presidente della stessa negli ultimi due anni del mandato. Fra le tante iniziative assunte in quest’ultima veste vanno ricordate, intese come sono state a diffondere la conoscenza della Costituzione e della Corte, le visite dei giudici nelle scuole superiori italiane. È stato autore di centinaia di scritti, volumi e saggi, ha fondato una Scuola dalla quale sono usciti numerosi allievi tutti di grande prestigio, tutti destinati a diventare maestri, raccolti intorno al Centro per la Storia del pensiero giuridico moderno fondato da Paolo, da cui sono scaturiti, sempre da lui fondati, un periodico, i “Quaderni fiorentini” (arrivati al 51° numero) e la “Biblioteca”, di cui è appena uscito il 137° volume.
Paolo Grossi nasce come storico del diritto privato, ma il suo orizzonte si allarga, anche, ma non solo a seguito degli incarichi da lui avuti, ai temi della Costituzione, della legalità costituzionale, della Corte, dell’interpretazione, dei giudici e dei giuristi, della crisi della legge e del suo monopolio nel quadro delle fonti del diritto. Paolo Grossi è stato un grande scrittore e oratore, dallo stile personalissimo e raffinato, ed è stato un grande professore, capace di tenere avvinto lo studente (e, perché no? il collega) con le sue parole. Posso concludere queste poche righe affermando con convinzione che Paolo Grossi è stato uno dei grandi Maestri del 900, Maestro di tutti noi.
Non avrei voluto includere Maurizio Fioravanti, allievo di Paolo Grossi, venuto inopinatamente a mancare poco più di un mese dopo di lui, fra i Maestri del Novecento (come tale ricordato su Lo Stato, con stima e affetto, da Pietro Costa, collega e amico), non perché non meriti di essere considerato tale, ma perché la sua scomparsa è stata davvero inaspettata e improvvisa, pur dopo una lunga crudele malattia, che peraltro non è riuscita neppure a scalfire le sue grandi capacità di studioso. Aveva solo 70 anni, era un Collega ma anche soprattutto un amico caro, è stato mio successore come Preside della facoltà fiorentina nel 1993, abbiamo collaborato con altri colleghi di Ateneo alla stesura del primo Statuto della nostra università. Ha scritto molto, molte opere pregevoli di storia (e diritto) costituzionale, anche negli ultimi anni, nonostante la malattia, con aperture comparative che me lo rendevano particolarmente congeniale. Mi addolora davvero vedere il suo nome oggi inserito fra i “Maestri del Novecento”. Che piacere sarebbe stato, invece, parlare non di lui, ma con lui, attraverso, ad esempio, una delle magistrali interviste di Federico Pedrini.
Vincenzo Varano
Università degli Studi di Firenze
Università degli Studi di Firenze