Il presente e il passato nella cultura teorico-giuridica
La rivista Lo Stato è giunta al suo ventesimo volume: è un evento festoso per tutti i cultori delle discipline che trovano nella rivista fondata e diretta da Aljs Vignudelli una preziosa fonte di informazione, dibattito e stimolo culturale.
La rivista è già stata già ampiamente presentata e il compito assegnatomi dal suo direttore è commentarne una specifica sezione: i ‘Materiali’. Ovviamente, la gran parte dei presenti avrà già avuto mille occasioni per consultarne i contenuti. Mi limiterò quindi a comunicare qualche rapida impressione.
Il nome (“Materiali”) rischia di peccare per eccesso di understatement. Un lettore alle prime armi potrebbe addirittura aspettarsi di avere a che fare con una sorta di magazzino per gli attrezzi, un luogo di deposito di documenti casualmente assemblati e incompiutamente elaborati. Non è questo il caso. In questa sezione troviamo testi perfettamente conclusi e concludenti, scelti in modo tutt’altro che casuale. Il principale criterio ispiratore nella scelta dei testi mi sembra il seguente: individuare personalità di rilievo nel presente e nel recente passato della cultura teorico-giuridica e pubblicare, di ciascuno degli autori prescelti, un testo, relativamente poco noto.
Gli autori individuati sono per lo più strettamente collegati con la scienza costituzionale e con la teoria del diritto cui il sottotitolo della rivista fa riferimento, ma non mancano autori meno prevedibili. La presenza forse più sorprendente si trova proprio nel ventesimo numero: Julius Evola, presentato da un ampio saggio introduttivo di Agostino Carrino. Evola è un cultore della spiritualità esoterica, un filosofo del razzismo spiritualista e della gerarchia fra le razze, convinto che l’ebreo sia la «antirazza per eccellenza», un «pericoloso paria etnico». Il testo di Evola è interessante per almeno due motivi: per il suo oggetto (Evola commenta Schmitt e, di Schmitt, un profilo importante come l’interpretazione di Hobbes); e per il luogo della sua originaria pubblicazione: avvenuta nella rivista Lo Stato (“Lo Stato” di Carlo Costamagna, beninteso, non Lo Stato di Aljs Vignudelli), a testimonianza del rapporto complicato, non sempre facile ma sempre stretto, di Evola con il regime e con la cultura fascista.
Evola è comunque, finora, l’ospite più “eterodosso” dei “Materiali”. Gli autori presenti in questa sezione sono per lo più studiosi il cui impatto sulla cultura teorico-giuridica del Novecento è stato forte e indiscutibile. Di questi autori – come ricordavo – vengono scelti per lo più scritti meno noti e questi scritti non vengono soltanto messi di nuovo in circolo, ma vengono anche preceduti da interventi che li commentano, li situano storicamente, ne permettono un’adeguata comprensione e valorizzazione. E la scelta degli studiosi chiamati a presentare i saggi antologizzati non è mai casuale, ma è dettata dall’esigenza di far tesoro delle competenze (e, direi anche, delle affinità elettive) fra il commentatore e il commentato.
Mi limito a tre esempi, fra i tanti possibili. Penso al saggio di Ross sullo Stato introdotto da Guastini, che opportunamente sottolinea che quel saggio è «pressoché sconosciuto in Italia» (n. 10/2018, 206). Penso al discorso di Schmitt, pronunciato nel 1931, al congresso del Langnam-Verein: un discorso, presentato da Scalone, particolarmente significativo per cogliere le immediate premesse dell’imminente adesione di Schmitt al regime nazionalsocialista. Penso alla ristampa di due brevi interventi di Bobbio, presentati da Bovero, usciti nel 1945 su GL, il quotidiano del Partito d’Azione, sul rapporto fra tecnica e politica e sulla necessità di “politicizzare” la tecnica e di “tecnicizzare la politica”. E conviene sottolineare l’osservazione di Bovero, per il quale le riflessioni del giovane Bobbio non hanno soltanto un valore storico e documentario. È infatti attuale la richiesta di Bobbio: la richiesta che i “tecnici” si assumano la responsabilità etico-politica delle loro decisioni e che i “politici” dispongano di quel minimo di competenza che permetta loro di essere qualcosa di più di meri organi di trasmissione della retorica volta a volta dominante.
Potremmo quindi dire, con una qualche semplificazione, che la sezione “Materiali” trova la sua caratterizzazione nell’offrirsi come uno strumento di conoscenza e di valorizzazione non tanto di autori importanti ma trascurati, quanto di scritti meno noti di autori notissimi; e questa valorizzazione è agevolata dalle introduzioni – più o meno ampie, ma sempre utili e puntuali– che prendono in esame lo scritto nel quadro della produzione complessiva dell’autore.
Ovviamente, la griglia che presiede all’ordinamento dei “Materiali” non ha niente di rigido. Una felice eccezione a questa regola è offerta ad esempio dalla pubblicazione di inediti. Mi piace ricordare, da questo punto di vista, un importante intervento di Maurizio Fioravanti (La Corte e la costruzione della democrazia costituzionale), letto in occasione dei sessant’anni della Corte. Ed è interessante anche un inedito di Uberto Scarpelli dedicato alla “logica del giudice” (come vorrei dire con espressione calogeriana); un inedito reso disponibile dall’accurato lavoro editoriale di Mario Jori, Anna Pintore, Paolo Di Lucia e Silvia Zorzetto.
I saggi inediti che vedono la luce nei “Materiali” sono comunque l’eccezione che conferma la regola: e la regola è raccogliere testimonianze (o, se si preferisce, “materiali”) che gettino, per così dire, una luce di taglio su personalità rilevanti del Novecento.
Ora, se questo è l’obiettivo della “sezione”, acquisisce un ruolo di particolare importanza una serie di testi (quasi una sezione nella sezione) dedicati al dialogo diretto con notevoli personalità dei nostri giorni: questi testi sono le “interviste” realizzate da Federico Pedrini e presenti in numerosi volumi della rivista. Queste “interviste” non hanno niente di casuale e di estemporaneo: sono uno strumento, sapientemente maneggiato dall’intervistatore, per indurre lo studioso intervistato a compiere quell’impegnativo esercizio che potremmo intitolare, con Croce, alla “critica” di se stessi.
Le personalità con le quali Pedrini dialoga non appartengono tutte alla galassia dei costituzionalisti: fra gli intervistati figurano, ad esempio, Grossi, De Giovanni, Schiera, Perlingieri, Quadrio Curzio. E tuttavia in nessun caso l’intervistatore resta esterno al mondo dell’intervistato: ne conosce approfonditamente gli scritti e li ripercorre in compagnia dei loro autori cogliendo i punti nodali della loro riflessione. Da questo punto di vista, il termine ‘intervista’ è riduttivo: si tratta piuttosto di un vero e proprio dialogo alla pari, che offre al lettore non già il riassunto di tesi già note, bensì occasioni per riflettere su nodi problematici di grande spessore.
Non posso corroborare questa mia impressione ripercorrendo le varie interviste e mi limiterò a ricordarne una sola: l’intervista a Paolo Grossi. In essa, infatti, a conferma di quanto venivo dicendo, troviamo preziose indicazioni su un tema – il pluralismo – tanto importante nella parabola intellettuale di Grossi quanto rilevante per il dibattito culturale odierno. E (se posso aggiungere una testimonianza “privata”) era lo stesso Paolo Grossi a dirmi di avere vivamente apprezzato i risultati del dialogo orchestrato da Federico Pedrini.
Anche nel ventesimo volume della nostra rivista compare nei “Materiali” un’intervista realizzata da Pedrini: l’intervista con Franco Cordero. Questa intervista ha però una nuova e avvincente caratteristica: è una intervista “impossibile”. Come qualcuno ricorda, la Rai degli anni Settanta aveva organizzato una serie di interviste (chiamandole appunto “impossibili”), dove, ad esempio, Calvino intervistava l’uomo di Neanderthal, Eco intervistava Muzio Scevola, Sanguineti Francesca da Rimini e così via. Era un gioco brillante e divertente; ed è in questo gioco che si impegna Pedrini: nel suo caso, però, il gioco è serio e filologicamente ineccepibile, dal momento che i contenuti dell’intervista impossibile sono tutti rigorosamente ricavati da precisi ed esatti passaggi degli scritti di Cordero. E il risultato è di nuovo ineccepibile e dà al lettore la possibilità di ripercorrere i grandi temi originalmente affrontati dall’autore di Criminalia.
Ho abusato della pazienza degli ascoltatori e devo concludere. La conclusione però può essere brevissima: guardando alla rivista Lo Stato anche soltanto da una delle numerose stanze di cui essa si compone non possiamo non provare l’impressione di trovarci di fronte a un’impresa culturale di grande respiro, a una fonte preziosa di conoscenza e di dibattito, a un insostituibile strumento di lavoro. E dunque, di nuovo, la pubblicazione del ventesimo volume della rivista Lo Stato è un evento che merita il festeggiamento e la gratitudine di tutti i suoi lettori.
La rivista è già stata già ampiamente presentata e il compito assegnatomi dal suo direttore è commentarne una specifica sezione: i ‘Materiali’. Ovviamente, la gran parte dei presenti avrà già avuto mille occasioni per consultarne i contenuti. Mi limiterò quindi a comunicare qualche rapida impressione.
Il nome (“Materiali”) rischia di peccare per eccesso di understatement. Un lettore alle prime armi potrebbe addirittura aspettarsi di avere a che fare con una sorta di magazzino per gli attrezzi, un luogo di deposito di documenti casualmente assemblati e incompiutamente elaborati. Non è questo il caso. In questa sezione troviamo testi perfettamente conclusi e concludenti, scelti in modo tutt’altro che casuale. Il principale criterio ispiratore nella scelta dei testi mi sembra il seguente: individuare personalità di rilievo nel presente e nel recente passato della cultura teorico-giuridica e pubblicare, di ciascuno degli autori prescelti, un testo, relativamente poco noto.
Gli autori individuati sono per lo più strettamente collegati con la scienza costituzionale e con la teoria del diritto cui il sottotitolo della rivista fa riferimento, ma non mancano autori meno prevedibili. La presenza forse più sorprendente si trova proprio nel ventesimo numero: Julius Evola, presentato da un ampio saggio introduttivo di Agostino Carrino. Evola è un cultore della spiritualità esoterica, un filosofo del razzismo spiritualista e della gerarchia fra le razze, convinto che l’ebreo sia la «antirazza per eccellenza», un «pericoloso paria etnico». Il testo di Evola è interessante per almeno due motivi: per il suo oggetto (Evola commenta Schmitt e, di Schmitt, un profilo importante come l’interpretazione di Hobbes); e per il luogo della sua originaria pubblicazione: avvenuta nella rivista Lo Stato (“Lo Stato” di Carlo Costamagna, beninteso, non Lo Stato di Aljs Vignudelli), a testimonianza del rapporto complicato, non sempre facile ma sempre stretto, di Evola con il regime e con la cultura fascista.
Evola è comunque, finora, l’ospite più “eterodosso” dei “Materiali”. Gli autori presenti in questa sezione sono per lo più studiosi il cui impatto sulla cultura teorico-giuridica del Novecento è stato forte e indiscutibile. Di questi autori – come ricordavo – vengono scelti per lo più scritti meno noti e questi scritti non vengono soltanto messi di nuovo in circolo, ma vengono anche preceduti da interventi che li commentano, li situano storicamente, ne permettono un’adeguata comprensione e valorizzazione. E la scelta degli studiosi chiamati a presentare i saggi antologizzati non è mai casuale, ma è dettata dall’esigenza di far tesoro delle competenze (e, direi anche, delle affinità elettive) fra il commentatore e il commentato.
Mi limito a tre esempi, fra i tanti possibili. Penso al saggio di Ross sullo Stato introdotto da Guastini, che opportunamente sottolinea che quel saggio è «pressoché sconosciuto in Italia» (n. 10/2018, 206). Penso al discorso di Schmitt, pronunciato nel 1931, al congresso del Langnam-Verein: un discorso, presentato da Scalone, particolarmente significativo per cogliere le immediate premesse dell’imminente adesione di Schmitt al regime nazionalsocialista. Penso alla ristampa di due brevi interventi di Bobbio, presentati da Bovero, usciti nel 1945 su GL, il quotidiano del Partito d’Azione, sul rapporto fra tecnica e politica e sulla necessità di “politicizzare” la tecnica e di “tecnicizzare la politica”. E conviene sottolineare l’osservazione di Bovero, per il quale le riflessioni del giovane Bobbio non hanno soltanto un valore storico e documentario. È infatti attuale la richiesta di Bobbio: la richiesta che i “tecnici” si assumano la responsabilità etico-politica delle loro decisioni e che i “politici” dispongano di quel minimo di competenza che permetta loro di essere qualcosa di più di meri organi di trasmissione della retorica volta a volta dominante.
Potremmo quindi dire, con una qualche semplificazione, che la sezione “Materiali” trova la sua caratterizzazione nell’offrirsi come uno strumento di conoscenza e di valorizzazione non tanto di autori importanti ma trascurati, quanto di scritti meno noti di autori notissimi; e questa valorizzazione è agevolata dalle introduzioni – più o meno ampie, ma sempre utili e puntuali– che prendono in esame lo scritto nel quadro della produzione complessiva dell’autore.
Ovviamente, la griglia che presiede all’ordinamento dei “Materiali” non ha niente di rigido. Una felice eccezione a questa regola è offerta ad esempio dalla pubblicazione di inediti. Mi piace ricordare, da questo punto di vista, un importante intervento di Maurizio Fioravanti (La Corte e la costruzione della democrazia costituzionale), letto in occasione dei sessant’anni della Corte. Ed è interessante anche un inedito di Uberto Scarpelli dedicato alla “logica del giudice” (come vorrei dire con espressione calogeriana); un inedito reso disponibile dall’accurato lavoro editoriale di Mario Jori, Anna Pintore, Paolo Di Lucia e Silvia Zorzetto.
I saggi inediti che vedono la luce nei “Materiali” sono comunque l’eccezione che conferma la regola: e la regola è raccogliere testimonianze (o, se si preferisce, “materiali”) che gettino, per così dire, una luce di taglio su personalità rilevanti del Novecento.
Ora, se questo è l’obiettivo della “sezione”, acquisisce un ruolo di particolare importanza una serie di testi (quasi una sezione nella sezione) dedicati al dialogo diretto con notevoli personalità dei nostri giorni: questi testi sono le “interviste” realizzate da Federico Pedrini e presenti in numerosi volumi della rivista. Queste “interviste” non hanno niente di casuale e di estemporaneo: sono uno strumento, sapientemente maneggiato dall’intervistatore, per indurre lo studioso intervistato a compiere quell’impegnativo esercizio che potremmo intitolare, con Croce, alla “critica” di se stessi.
Le personalità con le quali Pedrini dialoga non appartengono tutte alla galassia dei costituzionalisti: fra gli intervistati figurano, ad esempio, Grossi, De Giovanni, Schiera, Perlingieri, Quadrio Curzio. E tuttavia in nessun caso l’intervistatore resta esterno al mondo dell’intervistato: ne conosce approfonditamente gli scritti e li ripercorre in compagnia dei loro autori cogliendo i punti nodali della loro riflessione. Da questo punto di vista, il termine ‘intervista’ è riduttivo: si tratta piuttosto di un vero e proprio dialogo alla pari, che offre al lettore non già il riassunto di tesi già note, bensì occasioni per riflettere su nodi problematici di grande spessore.
Non posso corroborare questa mia impressione ripercorrendo le varie interviste e mi limiterò a ricordarne una sola: l’intervista a Paolo Grossi. In essa, infatti, a conferma di quanto venivo dicendo, troviamo preziose indicazioni su un tema – il pluralismo – tanto importante nella parabola intellettuale di Grossi quanto rilevante per il dibattito culturale odierno. E (se posso aggiungere una testimonianza “privata”) era lo stesso Paolo Grossi a dirmi di avere vivamente apprezzato i risultati del dialogo orchestrato da Federico Pedrini.
Anche nel ventesimo volume della nostra rivista compare nei “Materiali” un’intervista realizzata da Pedrini: l’intervista con Franco Cordero. Questa intervista ha però una nuova e avvincente caratteristica: è una intervista “impossibile”. Come qualcuno ricorda, la Rai degli anni Settanta aveva organizzato una serie di interviste (chiamandole appunto “impossibili”), dove, ad esempio, Calvino intervistava l’uomo di Neanderthal, Eco intervistava Muzio Scevola, Sanguineti Francesca da Rimini e così via. Era un gioco brillante e divertente; ed è in questo gioco che si impegna Pedrini: nel suo caso, però, il gioco è serio e filologicamente ineccepibile, dal momento che i contenuti dell’intervista impossibile sono tutti rigorosamente ricavati da precisi ed esatti passaggi degli scritti di Cordero. E il risultato è di nuovo ineccepibile e dà al lettore la possibilità di ripercorrere i grandi temi originalmente affrontati dall’autore di Criminalia.
Ho abusato della pazienza degli ascoltatori e devo concludere. La conclusione però può essere brevissima: guardando alla rivista Lo Stato anche soltanto da una delle numerose stanze di cui essa si compone non possiamo non provare l’impressione di trovarci di fronte a un’impresa culturale di grande respiro, a una fonte preziosa di conoscenza e di dibattito, a un insostituibile strumento di lavoro. E dunque, di nuovo, la pubblicazione del ventesimo volume della rivista Lo Stato è un evento che merita il festeggiamento e la gratitudine di tutti i suoi lettori.
Pietro Costa
Università degli Studi di Firenze
Università degli Studi di Firenze