Lo Stato, XX volumi per il X genetliaco

I primi dieci anni della Rivista <em>Lo Stato:</em> fra tradizione e innovazione
Ginevra Cerrina Feroni, Vice Presidente Autorità Garante per la protezione dati personali

I primi dieci anni della Rivista Lo Stato: fra tradizione e innovazione

Sono onorata di essere stata invitata a celebrare i dieci anni di questa Rivista. Un’occasione speciale per rendere omaggio ad un Maestro e caro amico come Aljs Vignudelli che ha dato vita  –  insieme ad Agostino Carrino  –  ad un progetto coraggioso. Ovvero una rivista cartacea – nel momento della massima crisi delle riviste cartacee – che è riuscita in pochi anni a diventare un punto di riferimento autorevole nella riflessione giuspubblicistica italiana in un panorama sempre più omologato, anche culturalmente.

Una Rivista che si distingue per eleganza e stile, diciamolo, un po' d’altri tempi. Il che non è una casualità, ma una precisa scelta stilistica e, appunto, culturale. Elegante come la foto in color seppia di Aljs con i suoi allievi che fa bella mostra in apertura del primo numero del 2023 e che ricorda le raffigurazioni fotografiche di fine ‘800 dei Fratelli Alinari, o come i biglietti di accompagnamento ai graditi omaggi della Rivista vergati in persona dal suo Direttore con ricercati pennini ad inchiostro.

Aljs Vignudelli ci offre, anche sotto questo profilo, e gli va dato merito, l’immagine di una Università che per certi aspetti non esiste più, luogo di elezione anche di forme, di simboli, di riti. Dove il rispetto della forma, dell’educazione, del buon gusto non è vuota retorica, ma è sostanza delle cose, e direi anche tradizione ed etica accademica. E dove determinati “codici” da gentiluomo si dovrebbero tramandare da Maestro ad allievo, e poi dall’allievo – che diventa a sua volta Maestro – ai propri allievi e così via, in un continuum ideale, quale espressione del senso di discendenza e di appartenenza, non solo iure intellellecti.

Sono stata investita del compito di stilare un qualche bilancio della sezione “Saggi” e della sezione “Interventi, discussioni, note” di questi 10 anni. Compito per nulla semplice, che ho provato a condurre ricavando in via induttiva alcuni parametri.

Sono partita dal nome stesso, Lo Stato. Come viene declinato questo ‘Stato’? Ci sono cioè dei temi considerati preponderanti e in caso di risposta positiva come vengono trattati? E ancora: quanto ‘Stato’ c’è ne Lo Stato?  E, infine, c’è anche un “oltre lo Stato”, nel senso di rapporto con la dimensione extra-nazionale? Ma prima di tutto, vorrei partire da una domanda che ha a che fare con un’impostazione più di natura metodologica, vale a dire: chi pubblica su Lo Stato? In altri termini, quali sono le tipologie di Autori coinvolte nella Rivista in questi anni e che format si è deciso di adottare?

Chi e come si pubblica su Lo Stato?

Partiamo dalla struttura della Rivista. Essa presenta una divisione dei contributi di saggistica in due settori, quello dei Saggi, appunto, e quello più eterogeneo degli Interventi, note e discussioni. La scelta è stata preordinata a dare un taglio diverso ai contributi: se nella sezione Saggi troviamo generalmente pezzi più vicini alla teoria generale del diritto – ricostruzioni critiche, ragionate e sistematiche di principi, istituti o convenzioni costituzionali – nella sezione “interventi” i contributi possiedono un taglio più agile e non raramente legato all’attualità (benché questa attenzione alla attualità non degradi mai nella mera cronaca o nella ricognizione di norme).

La prima considerazione che mi sembra meritoria di essere evidenziata è che, diciamo così, “a scatola chiusa”, senza conoscere la Rivista, si potrebbe pensare che le due sezioni – Saggi e Interventi – servano per ospitare i diversi status accademici. Cioè che la prima sezione sia riservata ai calibri “pesanti”, mentre nella seconda siano rilegati i lavori di Autori più giovani. Un po’ come avviene in alcuni convegni, dove gli interventi programmati corrispondono a semplici glosse rispetto alle più autorevoli “relazioni” che li hanno preceduti.

 Ecco questo è il primo mito da sfatare.

Guardando uno ad uno le centinaia di nomi che sono apparsi nelle due sezioni la prima cosa che salta all’occhio è come ci sia una perfetta compenetrazione tra status accademici diversi: non solo molti nomi di autorevoli emeriti – solo per fare alcuni esempi, ricordo Giuseppe de Vergottini, Luigi Ferrajoli, Giuseppe Morbidelli, Natalino Irti, Robert Alexy – li ritroviamo tanto nella sezione Saggi che in quella degli Interventi, ma questi nomi sono preceduti o seguiti, anche all’interno della stessa sezione, da ricercatori in erba e persino da giovani studiosi non strutturati.

È come se vi fosse una sorta di rifiuto per ogni forma di segregazione che deriva da una chiara scelta editoriale di indifferenza agli status e di attenzione al contenuto.

Questo sistema a mio parere rappresenta un primo grande merito della Rivista, da una parte esso offre un’esperienza educativa ai giovani studiosi: la consapevolezza di essere messi a confronto con i grandi produce necessariamente un meccanismo positivo di imitazione e direi anche di stress che spinge a “non abbassare la guardia”; dall’altra questa commistione fa sì che necessariamente tutti i contributi si parlino tra loro e, dunque, che anche “i grandi” siano posti nella condizione di dialogare con i più giovani.

Lo stile dialogico, l’attenzione al confronto e la fuga dai monologhi sono spesso “creati ad arte” dalla redazione. Il format stimola i dibattiti anche grazie allo stile di alcuni contributi: “sanamente” polemico, ma mai ideologico o fuori posto. Mi riferisco, ad esempio, alla discussione tra Biagio de Giovanni ed Emanuele Severino sulla sovranità nei primi due numeri della Rivista e penso allo scambio di battute tra Giorgio Pino e lo stesso Aljs Vignudelli, nel secondo numero, su ciò che Pino nell’articolo definiva quel “disaccordo teorico genuino”, che poi è il motore che anima e dà valore al nostro lavoro scientifico. Penso anche al dibattito sull’interpretazione aperta della Costituzione, portato avanti da ben cinque saggi sull’undicesimo fascicolo e poi richiamato a più riprese dai numeri successivi, in particolare dai contributi in stretta successione di Massimo Luciani e di Filippo Patroni Griffi nella sezione Interventi del fascicolo n. 12.

E qui mi allaccio ad un’altra mia domanda di partenza: come viene declinato questo “Stato”? Quali sono i grandi temi?

Ecco, un altro aspetto decisamente da mettere in evidenza è che, nonostante i soli dieci anni di vita, Lo Stato sia riuscito ad abbracciare tutti i fondamentali temi del diritto pubblico degli ultimi decenni. E ciò è tanto più ammirevole se si considera che è una Rivista semestrale.

Quanto ai singoli argomenti trattati, notiamo una enorme diversificazione, si va dal dialogo tra Corti, all’interpretazione costituzionale (tema d’elezione di Aljs Vignudelli), dall’organizzazione della giustizia alle autorità indipendenti, fino alla grande questione dei diritti (e dei doveri). Sarebbe davvero difficile e forse inutile elencarli tutti. Mi pare però che tutti trovino il loro file rouge nella stretta compenetrazione tra diritto positivo e filosofia. Prendiamo solo l’ultimo fascicolo, il 20: nei Saggi la maggiori parte degli interventi – tra cui quelli di Antonio Baldassarre, Luigi Ferrajoli, Ugo Rescigno – abbracciano temi di pura dogmatica giuridica.

Ma anche i pezzi non espressamente catalogabili tra quelli di teoria del diritto conservano un valore dogmatico e sistematico di assoluto rilievo, tanto che si può dire che ci troviamo di fronte ad una rivista di filosofia del diritto costituzionale, prima ancora che di diritto costituzionale. Penso, tra gli altri, ai numerosi contributi di taglio storico: cito solo per portare alcuni esempi il pezzo sulla dottrina di Adolf Reinach (fasc. 4), quello sulla concezione dello Stato di de Malberg (fasc. 11), lo studio sul cattolicesimo-democratico nell’opera di Enzo Balboni (fasc. 17); il pezzo sulla tecnocrazia in Platone (fasc. 18). Questi contributi in realtà utilizzano l’approccio storiografico e dogmatico per riallacciarsi all’attualità: dalla deriva mercantilistica del diritto, alla concezione assiologica della Costituzione (peraltro in dialogo con altri contributi di segno ideologico opposto), fino alla aperta critica dello stile tecnocratico del Governo Draghi.

Interessante, poi, l’approccio dei contributi sull’emergenza pandemica contenuti nei fascicoli 14, 15 e 16 (con qualche ultimo scampolo nel 17 e nel 18), nei quali la questione non è stata mai affrontata nella sua dimensione “accidentale” o “temporanea” (se quello specifico decreto-legge sia legittimo o meno, se quell’orientamento violava o meno una serie di diritti fondamentali), ma sempre con un taglio di largo respiro. Penso allo studio di Ilenia Massa Pinto che mette in relazione il Covid con le dinamiche della Costituzione formale, a quello di Francesco Rimoli, pubblicato in due parti, che si misura con la resilienza democratica all’emergenza, a quello di Elisa Valeriani sull’efficacia dell’azione commissariale nello stato di emergenza, a quello di Valeria Piergigli sulle prospettive della Costituzione dell’emergenza spagnola, ma anche a quello di Antonella Sciortino sulla tecnocrazia in Platone, che evidentemente raccoglie ed elabora suggestioni che l’emergenza pandemica ha aperto.

Vediamo quindi come in questo caso la pandemia abbia agito quasi da espediente per approfondimenti di teoria generale del diritto, per testare la tenuta dell’ordinamento, studiarne i cambiamenti sistemici che emergono sottotraccia; con scritti, quindi, che si astraggono dalla semplice contingenza. Altri esempi si potrebbero fare con riferimento ad importanti pronunce della Consulta o del dialogo tra Consulta e Corte di Giustizia, assunti come pretesti che hanno dato luogo a linee di discussione più profonde sulla concezione dello Stato, appunto (fasc. 6). Il che, ovviamente, nulla toglie al valore di utilità pratica degli studi pubblicati per i cultori del diritto amministrativo e costituzionale, in particolare quelli della sezione “Interventi e note” che, come dicevo, hanno un taglio più orientato verso l’attualità.

Ultima caratteristica che mi pare importante sottolineare è la costante (e sempre maggiore) presenza dell’Europa e della comparazione giuridica, tanto che, come è stato notato da Federico Sorrentino nel 20mo numero della Rivista, possiamo quasi affermare che Lo Stato si è sempre più trasformato in “oltre lo Stato”: sempre più numerosi sono gli Autori stranieri, forse anche grazie al fatto che ben 26 componenti del comitato scientifico su 60 appartengono di università estere. Questa attenzione al confronto con la dimensione sovranazionale, o meglio, meta-statuale in realtà è sempre preordinata a fornire ai lettori un materiale per comprendere in primo luogo il ruolo dello Stato. Le analisi finiscono inevitabilmente per esaltare il ruolo dello Stato perché comunque partono dal punto di vista della sua collocazione e dei suoi compiti.

Conclusioni

Restare fedele a sé stessa. È questa forse la sintesi più idonea per descrivere questa Rivista. Mi riferisco alla capacità di essere una destinazione editoriale allettante per molti giuristi perché capace di intercettare i temi di interesse e di valorizzarli attraverso una trattazione di ampio respiro. E così facendo, essa ha finito per rappresentare una sorta di barometro delle energie intellettuali del diritto pubblico. E non solo in Italia.

Questo successo è però anche il frutto di una certa capacità di trasformarsi durante gli anni, cioè di aprirsi sempre più alla dimensione europea e di aprirsi sempre più ai giovani studiosi.

Sono però sicura che una cosa non cambierà: la qualità e l’originalità dei suoi contributi.

Il mio augurio per il futuro è che la Rivista continui ad essere animata dallo stesso ottimismo, la stessa curiosità e lo stesso spirito di innovazione che l’ha contraddistinta per questi 10 anni!
Ginevra Cerrina Feroni
Vice Presidente Fondazione Cesifin