Lo Stato, XX volumi per il X genetliaco

La forma e l’oggetto de <em>Lo Stato</em>
Giuseppe Ugo Resigno, Emerito dell'Università degli Studi di Roma - La Sapienza

La forma e l’oggetto de Lo Stato

Vogliamo festeggiare i dieci anni e i venti numeri della Rivista Lo Stato e naturalmente dobbiamo parlarne. Sotto quanti e quali aspetti si può parlare di una Rivista? Ho provato a fare un elenco, come fosse una check list con cui controllare i venti numeri. Era incredibilmente lunga (e naturalmente non esaustiva) e, soprattutto, o noiosa se mi limitavo ad elencare i diversi aspetti dando loro un nome e una valutazione, oppure senza un centro, o meglio con molti centri, l’uno indipendente dall’altro, e tali comunque da esigere una trattazione lunghissima solo al fine di far emergere gli aspetti più importanti e significativi.

Ho deciso dunque di limitarmi a due centri, e per ciascuno di essi di fare alcune esemplificazioni e un breve commento:

il primo centro ruota intorno alla forma esteriore della Rivista, dalla sua articolazione interna alla grafica, e alle altre innumerevoli domande che il tema comporta;

il secondo riguarda direttamente il titolo e il sottotitolo, e cioè l’oggetto della Rivista, quale doveva essere e dovrebbe essere nelle intenzioni della redazione e del suo direttore, e quale si manifesta negli scritti (limitandomi per questo aspetto ai saggi dell’ultimo numero).

 Svolgo ora i punti che esamino secondo il criterio prima detto.

Perché una rivista semestrale? Per alcuni tipi di riviste la scelta della periodicità è quasi obbligata: una rivista che si pone il compito primario, anche se non esclusivo, di informare sulla giurisprudenza della Cassazione non può andare oltre il mese (ed oggi deve essere on line, fatta salva la possibilità della stampa successiva, se la cosa regge economicamente, oppure se esiste la possibilità di stampare a pagamento o gratuitamente scaricando direttamente dal sito); per altri tipi si tratta di un compromesso empirico tra diverse esigenze, con la conseguenza che maggiore diventa l’intervallo tra un numero e l’altro, maggiore diventa il distacco tra la pubblicazione e l’informazione tempestiva; ma, come compenso, maggiore diventa il tempo per riflessioni e valutazioni che implicano studio della questione e impegno professionale. Però quasi nessuna rivista di buon livello, quali che siano i suoi obbiettivi, rinuncia a cercare saggi e articoli che meritano di essere valutati come contributi scientifici.

Un semestrale dichiara immediatamente di voler essere una rivista che si propone anzitutto di sollecitare e pubblicare articoli e saggi con carattere scientifico. Questo solo fatto esige da un lato che siano i curatori della rivista ad aver chiaro che cosa significa scienza del diritto e verificare che i criteri per questa valutazione siano stati rispettati e dall’altro che tutti i soggetti coinvolti, curatori ed autori, siano costretti a manifestare, o apertamente e dichiaratamente, o implicitamente attraverso il loro modo di argomentare, i criteri in base ai quali decidere sul grado di scientificità di uno scritto. La domanda ora diventa: la rivista Lo Stato mostra quali sono i criteri per giudicare della scientificità e li rispetta? La mia risposta è totalmente positiva e cercherò di darne dimostrazione tra poco quando affronterò la seconda tematica che ho deciso di sviluppare.

Un secondo aspetto per giudicare intorno ad una rivista giuridica è la sua strutturazione interna.

 È difficile che una rivista in generale, e giuridica in particolare, non abbia una sua articolazione interna con nomi specifici per ciascuna parte. La domanda è se l’articolazione adottata è coerente con il tipo di rivista scelto. Se la rivista lo Stato intende collocarsi al livello del massimo di scientificità nella scienza del diritto, tutte le sue articolazioni interne debbono essere funzionali rispetto all’obbiettivo.

 A me pare che l’articolazione de Lo Stato, fin dall’inizio e costantemente, sia stata particolarmente felice e sempre rispettata.

Anzitutto, la prima parte si intitola “Saggi”, e contiene scritti originali che comunque hanno a che fare con lo Stato: come è ovvio, saggi di diritto costituzionale, ma anche di diritto amministrativo, o filosofia del diritto, o teoria generale del diritto, o storia del diritto, o diritto dell’economia. Poiché almeno due degli scritti miei mi furono commissionati da Aljs Vignudelli, suppongo che anche in altri casi sia stato il direttore o la redazione a sollecitare contributi, in linea con gli obbiettivi della Rivista. Comunque sia, si tratta degli scritti che maggiormente caratterizzano il numero della rivista, quelli che vengono visti e letti dai redattori, dagli autori e dai lettori (per quanto mi risulta, e come viene confermato ad esempio da Federico Sorrentino proprio in una sua nota nel numero venti) come contributi scientifici da collocare al massimo livello insieme ad altri di altre riviste (e insieme a monografie, trattati, manuali eccetera).

Subito dopo viene la sezione “Materiali”: vengono ristampati, magari con commento, scritti più o meno antichi, o saggi su autori del passato (qui Carrino si dimostra un maestro, non tratto per non far torto ad altri dei suoi ottimi saggi); sempre nella sezione Materiali compaiono interviste, curate da Pedrini, con giuristi intorno ad un tema che caratterizza il giurista o filosofo o studioso intervistato (si tratta di una sezione di grande originalità, condotta splendidamente, ricca di provocazioni, approfondimenti, sviluppi, suggestioni, che lasciano il lettore con molta più conoscenza e saggezza di prima, anche quando non è d’accordo).

Segue la sezione intitolata “Interventi, note, discussioni”: il titolo non ha bisogno di commenti, salvo ricordare che se ben fatte da persone competenti e rigorose interventi note e discussioni intorno ad un tema molto specifico quasi sempre suggerito o proposto dalla cronaca contengono conferme di una teoria o tesi scientifica o al contrario una sua confutazione, oppure una provocazione che sarà ripresa e sviluppata dallo stesso autore o da altri. Gli scritti in questa sezione io li ho trovate sempre molto interessanti e meritevoli di lettura e riflessione.

Segue poi una parte cominciata dal n. 8 del 2017, intitolata “Maestri del Novecento”: si tratta di una innovazione molto felice. Quasi sempre un allievo ricorda il suo Maestro: naturalmente scelta del Maestro da ricordare e dell’allievo a cui affidare il compito spettano alla redazione o forse direttamente al suo direttore; non mancano però articoli di giuristi di oggi che ricordano Maestri di anni passati.

L’ultima parte è tradizionale nelle riviste scientifiche, ma, poiché si tratta di un compito molto faticoso che non dà molti ritorni nella carriera accademica, viene trascurato da quasi tutte le riviste: le recensioni. Lo Stato ne ha fatte e ne fa molte, e soprattutto non si limita ad una nota bibliografica, ma contiene vere e accurate recensioni (esistono anche le note bibliografiche, che sono comunque utili).

Terzo e ultimo aspetto che esamino: perché una rivista a stampa e non soltanto on line (come oggi tendono a fare le riviste, giuridiche e non)? Chi legge l’editoriale dell’ultimo numero scritto dal direttore Aljs Vignudelli sarà colpito, credo, oltre che dalle molte belle cose oltre quelle che ricordo qui e che ricorderò successivamente nella seconda parte, dalla vera e propria passione, competenza e raffinatezza con cui Aljs parla dell’aspetto esteriore della sua rivista, dai colori e dal disegno della copertina, della retrocopertina, dai caratteri, agli occhielli, alle foto, alle spaziature e così via. Un libro, un numero di una rivista che è in libro a più voci e molti oggetti collegati, deve essere anche bello da vedere, da sfogliare, da leggere. Che venga pure l’on line se è utile (e spesso è non solo utile ma indispensabile: ricordo ancora con angoscia la fatica e le giravolte per trovare ad esempio i disegni di legge), ma non toglieteci il piacere del libro ben confezionato.  

Posso ora passare alla seconda parte.  

Non so quanto sia risultato del caso o della lungimirante capacità del direttore e della redazione, ma nel n. 20, nella sezione Saggi, in rigoroso ordine alfabetico, trovate sei autori che esemplificano bene sia le tendenze prevalenti tra i giuristi sul significato e la natura del diritto, sia alcuni degli oggetti che, coerentemente con le loro posizioni di principio, occupano non solo i loro interessi principali ma quelli di tutta la corporazione. Siccome però anche gli autori degli scritti contenuti nella sezione Materiali e nella sezione Interventi note e discussioni presentano chi più chi meno le stesse caratteristiche, passando in rassegna i primi citerò anche qualche autore del secondo gruppo che sia vicino o affine a quello esaminato.

Li passo in rassegna uno per uno, non secondo l’ordine alfabetico ma secondo un ordine ideale costituito dalla vicinanza o maggiore lontananza rispetto a ciò che io penso.

Ferrajoli è tra i giuristi uno di quelli a cui sono più vicino, eppure spesso dopo qualche minuto di discussione cominciamo a non essere d’accordo: il punto è che lui crede fermamente nella possibilità di una società sempre migliore mediante il diritto, io, fedele allievo di Marx, di Lenin e di Gramsci, ho pensato e continuo a pensare che solo una rivoluzione nel sistema economico, contro il diritto vigente, potrebbe realizzare quella società chiamata comunismo. Nel mio saggio, su cui ritornerò, spiego perché l’ipotesi comunista, come costruita a suo tempo, è fallita e perché temo il peggio per il futuro, non vedendo oggi alcun movimento sociale nella direzione che vorrei. Ma resta il dissenso sul modo di ricostruire la realtà, e quindi anche la realtà giuridica (il famoso positivismo critico, che Ferrajoli professa ed espone con molta intelligenza, grandi mezzi conoscitivi che gli derivano dalla filosofia e dalla logica, persuasivo linguaggio).

Per certi versi più vicino e per altri più lontano Chessa (e con lui Bartole). Più vicino di Ferrajoli rispetto a me perché nel cercare di comprendere le costituzioni Chessa introduce la durezza delle cose; in particolare nel suo scritto propone come oggetto di studio e criterio di analisi la causa esterna delle costituzioni costituita dagli altri Stati e dalla geopolitica, disciplina che tanto successo sta avendo, e data la guerra in Ukraina con buone ragioni. Più lontano di Ferrajoli rispetto a me perché in questo suo scritto non trova posto la costituzione come progetto, e quindi non trova posto la lotta dentro la costituzione vivente (quella che le diverse parti della società vivono quotidianamente), e quindi in ultima istanza si ignora la lotta di classe che storicamente ha creato le premesse e le ragioni per le moderne costituzioni come progetto del futuro (quando queste costituzioni esistono come progetto dichiarato e quindi base per una lotta per la loro attuazione). Aggiungo che in tal modo a mio avviso non si comprende neppure come e in che senso la geopolitica entri dentro le analisi e le interpretazioni delle costituzioni (sono comunque d’accordo con Chessa che la geopolitica deve entrarci: il suo, al di là della mia critica, è comunque un contributo scientifico valido e prezioso).

Quanto alla durezza delle cose da collocare dentro le costituzioni invito a leggere anche Dogliani, Il paradosso del diritto penale internazionale, e Luciani, La Costituzione [sottinteso italiana] e le due legalità, due autori che per alcuni aspetti, diversi l’uno dall’altro, mi sono più vicini anche di Ferrajoli.

Bovero, da degno allievo di Bobbio, discutendo ancora una volta di Antigone, coglie un punto per me fondamentale e decisivo per capire il diritto e lo Stato, e cioè che la libertà è anche potere e che la legge, nel tentativo di limitare il potere, limita necessariamente la libertà e viceversa.

Carrino nei Saggi pubblica Joseph de Maistre e la scienza delle costituzioni, e nei Materiali un testo che ho letto con molto interesse, più ancora rispetto al primo, Julius Evola e la dottrina dello Stato – Sulle antinomie dell’individuo assoluto.

Ambedue gli scritti testimoniano della qualità e di due caratteristiche tra le altre della Rivista a cui Vignudelli nel suo editoriale tiene particolarmente: l’apertura verso qualunque contributo degno di attenzione fuori di ogni scuola precostituita, indipendentemente dalla ideologia che lo sostiene e lo circonda, senza rivendicare una propria posizione scientifica, o ideale, o ideologica contro altre; la convergenza di più discipline intorno all’oggetto specifico Stato, non solo le discipline che insieme compongono il diritto pubblico, ma anche filosofia del diritto, teoria generale,  storia del diritto, storia del pensiero giuridico, politico, filosofico, economia. Nel caso di Carrino ho imparato a conoscere il pensiero di un fascista, sia pure particolare, e cioè come e perché un singolo individuo può diventare fascista nella sua mente: il tema mi affascina, perché ancora oggi continuo a chiedermi come e perché si diventa nazista (sono del parere che tra nazismo e fascismo vi sia un’aria di famiglia, ma anche profonde differenze) e come e perché si diventa e si vive come un sovietico (di nuovo c’è somiglianza col fascismo, ma secondo me c’è anche grande differenza).

Quanto a De Maistre Carrino mi ha fatto conoscere da vicino un pensatore che scopre (o meglio, scopre di nuovo) e descrive la parte demoniaca degli esseri umani, e quindi del perché e come è necessario contenere e combattere questa parte. In tal modo mi pare colga nel segno quella che mi pare la tesi principale dello scritto: per capire le costituzioni bisogna ricordare e capire «la forza dell’elemento teologico nella fondazione, nella conservazione e nella morte degli organismi sociali».

Personalmente traduco questa affermazione sostituendo all’elemento teologico l’elemento ideologico, di cui quello teologico è una versione.

Quanto a Baldassarre, La crisi attuale della “scienza” del diritto pubblico e costituzionale, ho cercato anzitutto di capire in che cosa consista la crisi della “scienza” del diritto pubblico e costituzionale, e poi che cosa, come giurista, Baldassarre pensa che i giuristi debbano sostenere e praticare. La mia conclusione, pur avendo apprezzato le ottime ricostruzioni del pensiero dei giuristi tedeschi di Weimar, è che Baldassarre scambi per crisi della scienza del diritto costituzionale e pubblico quella che è una crisi della società italiana nei confronti della Costituzione.

A me pare che in Italia vi siano tre parti (spesso mescolate confusamente nei medesimi partiti) per quanto riguarda il giudizio da dare sulla Costituzione.

Una parte giudica valida e vigente tutta la Costituzione, e si batte contro tutte le azioni, i programmi, le decisioni che ritiene contrarie a Costituzione.

Una seconda parte ritiene valida e vigente nel suo insieme la Costituzione, ma da un lato ritiene che la seconda parte vada più o meno ampiamente riformata, dall’altro interpreta e cerca di attuare, se è al governo, le norme programmatiche della prima parte in modo diverso da quanto sostiene la prima parte, dando luogo alla dicotomia destra-sinistra (a parte quella componente che nega la esistenza di questa distinzione ma comunque dissente da ambedue le componenti prima indicate).

Infine, c’è una terza parte che mente spudoratamente, applica strumentalmente la seconda parte finché serve al suo potere, non crede minimamente nella prima parte, e arriva naturalmente al peggio (dal mio punto di vista) che la società moderna ha sperimentato negli anni.

L’unico punto che tiene ancora tutti insieme è l’incondizionato appoggio di fatto al modo di produzione capitalistico, che appare necessario come una legge di natura (secondo l’acronimo TINA: There Is No Alternative), e col modo di produzione l’alleanza con gli Stati Uniti, che ne è il campione indiscusso.

Una volta chiarito in che cosa consista la crisi, vi sono giuristi che si schierano col primo gruppo, altri che si schierano col secondo, ed altri che trescano spudoratamente col terzo gruppo.

A mio parere quelli del primo gruppo sono spesso ottimi giuristi, e si può applicare ad essi l’espressione scienza del diritto, purché si intenda bene che cosa è e può essere la scienza del diritto (che tratta di esseri umani dotati di coscienza e volontà), distinta dalle scienze della natura (che trattano di cose senza coscienza e volontà, secondo leggi non decise dagli uomini, ma verificabili oggettivamente).

Ottimi giuristi si trovano anche nel secondo gruppo. Quanto al terzo, non sono giuristi ma arrampicatori sociali.

Mi tocca ora parlare del mio contributo: Lotta di classe o/e lotta tra nazioni/popoli?

Mi limito a chiarire e sottolineare quanto, a mio avviso, c’è di specifico e particolare nel mio modo di intendere, esaminare, valutare lo Stato e con lo Stato le forme di governo e in particolare la democrazia.

Io non intendo il rapporto tra economia e Stato soltanto come un rapporto di reciproco condizionamento, ma prima ancora come una realtà fatta contemporaneamente di potere economico e potere politico, mediata dal diritto e quindi dallo Stato.

Si tratta della famosa, e quasi sempre dileggiata, distinzione di Marx tra struttura e sovrastruttura. Struttura non è l’economia da sola, meno che mai lo Stato da solo, ma la distinzione-lotta tra potere politico e potere economico, distinzione e lotta che si basano sul diritto e quindi sulla distinzione e lotta dentro il diritto tra economia e Stato.

Ringrazio Vignudelli, e con lui la rivista Lo Stato, per avermi dato la possibilità di cominciare a chiarire la mia posizione nel n. 2 del 2014 con l’articolo Riflessioni di un giurista intorno alla moneta e di concludere per ora con il mio saggio nel n. 20, che, se lo leggerete, è una resa dei conti con la mia storia umana, politica e professionale. Si tratta di una posizione, la mia, che oggettivamente mi isola quasi totalmente (me ne dispiace, ma non posso farci nulla; se così penso e sento così debbo dire e fare). Mi perdonerete se approfitto dell’occasione per informarvi che ho quasi finito un libro di circa 300 pagine che vuol essere una resa dei conti più ampia e ambiziosa, sul piano scientifico, anzitutto con, o meglio contro, gli economisti per così dire ufficiali, e poi con i giuristi, anche quelli ai quali mi sento più vicino.

Concludo facendo notare di nuovo che i miei contributi alla Rivista, corretti o sbagliati che siano, accettati o meno, sono comunque eterodossi e confermano visivamente quanto Vignudelli ha sottolineato nel suo editoriale. La rivista Lo Stato accoglie tutti, purché siano all’altezza dei criteri di giudizio intorno alla scientificità dei contributi; il rigore scientifico della Rivista è confermato al quadrato, per dir così, perché a scorrere tutti i dieci anni e i venti numeri, si mostra che lo Stato è cosa davvero complessa, e che più in generale siamo costretti a dedicare attenzione ad un aspetto delle società umane, ma nel far questo dobbiamo anche ricucire i fili che collegano tutti i diversi aspetti.
Giuseppe Ugo Rescigno
Università degli Studi di Roma - La Sapienza